1972 - Le Brigate Rosse a Cesano Boscone

All’inizio della loro storia, le Brigate Rosse compirono un’azione contro la sezione di un partito politico al Quartiere Giardino. Ecco la ricostruzione di quell’episodio.

Le Brigate Rosse sono state l’organizzazione terroristica di estrema sinistra più longeva nell’Italia del secondo dopoguerra. Sono la diretta filiazione del Collettivo Politico Metropolitano, un gruppo sorto in Milano che aveva raccolto vari elementi appartenenti all’area della sinistra extraparlamentare e che, in un convegno tenuto a Chiavari nell’autunno del 1969, aveva teorizzato la necessità del ricorso alla lotta armata organizzata nel tessuto metropolitano. Tra i fondatori, ricordiamo Renato Curcio, la moglie Margherita Cagol, Giorgio Semeria e Alberto Franceschini. Tra i primi militanti, Umberto Farioli, Piero Morlacchi e la moglie Heidi Peusch, protagonisti delle lotte politiche al Giambellino.

Renato Curcio, Alberto Franceschini, Piero Morlacchi, Margherita Cagol e Giorgio Semeria
 nelle foto segnaletiche dell’epoca (da wikipedia)

Nella primavera del 1970 iniziarono a circolare a Milano ed in particolare al Giambellino i primi manifesti e volantini delle Brigate Rosse, con il loro celebre simbolo. Fino al 1972 le BR agirono prevalentemente a Milano e presero di mira le proprietà, più che le persone: automobili, macchinari industriali, uffici di leader politici della destra o di sindacati[1].

I primi attacchi delle B.R. furono quindi portati, in coincidenza con le lotte e le rivendicazioni operaie, a dirigenti aziendali, definiti nei primi comunicati “esercito di servi… al servizio dei padroni”. Si registrano così a Milano nel settembre 1970 il tentativo di incendio all’auto di un direttore del personale dello stabilimento Sit Siemens e, qualche mese dopo, gli incendi delle autovetture del capo delle guardie e del capo del personale dello stabilimento Pirelli Bicocca.[2]

Uno dei primi manifesti delle B.R.
(da http://occhiodimarzo.blogspot.com)

In un volantino datato maggio 1971 le B.R. sintetizzano anche il loro odio per i fascisti: “il fascismo è l’espressione dell’oppressione armata del potere sulla classe operaia. Combattere i fascisti è esercitare la nostra liberazione. Oggi in particolare questo imperativo è forte perché il padrone sta cercando di bloccare la crescente offensiva proletaria finanziando il grosso esercito degli squadristi che hanno messo le bombe a piazza Fontana. Sono quegli stessi squadristi che attaccano i picchetti operai con la protezione della polizia e gli studenti rivoluzionari che protestano davanti alle scuole. Sono loro che dobbiamo distruggere se vogliamo continuare la nostra marcia verso il potere.[3]


Un altro volantino B.R. datato 28 maggio 1971 afferma che “…fascisti e poliziotti vogliono colpire alle radici fin dal suo nascere l’ipotesi strategica che li seppellirà, insieme ai loro padroni, per sempre: LA GUERRIGLIA DEL POPOLO! I lavoratori delle fabbriche e dei rioni dove operiamo sanno che le «Brigate Rosse» sono organizzazioni comuniste, lo sanno perché esse non hanno mai fatto un’azione contraria agli interessi dei lavoratori. Abbiamo colpito NELLE FABBRICHE, i despoti, i servi del padrone, i più odiati dalla classe operaia, quando ciò si è reso necessario perché erano stati colpiti dei compagni. Abbiamo colpito I FASCISTI perché essi sono l’esercito armato che il capitale usa oggi contro le lotte operaie e la richiesta proletaria di potere. Abbiamo colpito sempre NEMICI DEL POPOLO e sempre li abbiamo colpiti all’interno di vasti movimenti di lotta. Per questo (…) diamo un avviso alle forze della reazione: «CHI SCHERZA COL FUOCO SI BRUCIA LE DITA…» (…) NIENTE RESTERÀ IMPUNITO! Ai poliziotti ed ai fascisti diciamo una cosa chiara: NEI VOSTRI CONFRONTI NON VI SARÀ ALCUNA PIETÀ. IL PUGNO DELLA GIUSTIZIA PROLETARIA SI ABBATTERÀ CON FORZA TREMENDA SU CHIUNQUE TRAMI MESTI E OPERI CONTRO GLI INTERESSI DI NOI PROLETARI. LEGGERE, FAR CIRCOLARE, PASSARE ALL'AZIONE.” [4]

Tra il 1971 e nei primi mesi del 1972, sempre a Milano, vengono date alle fiamme anche le auto di sindacalisti della CISNAL e di altre persone ritenute legate ad ambienti di destra. 

Volantino B.R. di rivendicazione degli incendi
 di alcune vetture di aderenti al MS.I., 21 febbraio 1972
(da gerograssi.it)

Nei vari comunicati che fanno seguito alle azioni se ne indica la motivazione nella necessità di respingere “l’aggressione fascista” e si indica come obbiettivo un “processo popolare contro tutti i fascisti”. Nuove azioni vengono annunciate e si ripete che “niente resterà impunito”.[5]

Nel febbraio 1972 vengono affissi sui muri di via Lorenteggio alcuni manifesti firmati Brigate Rosse – Comando zona Lorenteggio: “La dittatura borghese vuole ottenere la pace sociale con il progetto armato della destra nazionale (…) nei quartieri, con la polizia e con i fascisti che collaborano sempre più strettamente per stroncare il movimento di resistenza popolare, (…) nelle fabbriche, con la polizia e i fascisti armati che attaccano i picchetti… Compagni, nostro compito fondamentale è ora organizzarsi e armarsi per schiacciare tutti i nemici del popolo!”[6]

A marzo, le B.R. decidono di alzare il livello di lotta. L’obbiettivo non è più l’auto, ma l’uomo, un nemico da catturare e processare.

Il sequestro Macchiarini
(foto da panorama.it)

Il 3 marzo 1972, all’uscita dal lavoro, viene aggredito e prelevato un dirigente della Sit Siemens, Idalgo Macchiarini. Caricato a forza su un furgone, viene legato, ammanettato e picchiato. Gli viene appeso un cartello al collo e viene fotografato, per poi essere abbandonato dopo circa mezz’ora in una strada di periferia. Un volantino ciclostilato lasciato nei pressi afferma che “Macchiarini è quello che si dice un tipico neofascista: un neofascista in camicia bianca, cioè una camicia nera dei nostri giorni. (…) Questo processo proletario a Macchiarini è un avvertimento a tutti gli altri che alla guerra rispondiamo con la guerra… nessuno dorma più sonni tranquilli.”[7]

Pochi giorni dopo, l’attenzione delle B.R. si sposta su Cesano Boscone. Forse è Umberto Farioli, brigatista originario di Cesano Boscone[8], a segnalare ai compagni la locale sezione del Movimento Sociale Italiano (M.S.I.).

Il M.S.I. era un partito di ispirazione neofascista[9], fondato nel 1946 da reduci della Repubblica Sociale Italiana, con il quale ha legami storici l’attuale partito di destra Fratelli d’Italia. La sezione di Cesano Boscone é stata aperta nel 1971 in un appartamento a piano terra di una delle palazzine del condominio di via delle Acacie 1, al Quartiere Giardino. E' composta da una sala riunioni, un locale destinato ad ufficio, un bagno ed un balcone coperto.
I locali a piano terra del condominio di Via delle Acacie 1 che ospitavano la sezione MSI 
 (foto dell’autore, veduta aerea da Google Earth)

I locali sono di proprietà dell’immobiliare Rancilio e sono stati affittati dalla Polisportiva Fiamma. Segretario della sezione è un anziano militante, Romagnoli; gli iscritti sono una cinquantina, tutti abitanti nel Quartiere Giardino e nei quartieri limitrofi, Lavagna e Tessera. Si organizzano riunioni e dibattiti, si affiggono manifesti, si fa attività politica, ci si prepara a partecipare alle prossime elezioni amministrative.

Una riunione all’interno della sezione: il primo da destra è il segretario
 Romagnoli, accanto a lui seminascosto il vice segretario Bartolomeo Di Mino
(foto di Pietro Di Mino)

La sera del 13 marzo 1972 all’interno della sezione c’è solo il vice-segretario, Bartolomeo Di Mino.

44 anni, originario di Palermo, Di Mino si è trasferito a Cesano Boscone con la famiglia nel 1968. Lavora come fattorino alla 3M ed abita a pochi metri di distanza, in via dei Salici 6. È sceso in sezione dopo cena, per scrivere alcune lettere e per riordinare le firme raccolte per un referendum sull’elezione diretta del Presidente della Repubblica. È in ufficio, ha lasciato la porta della sezione aperta, caso mai passasse qualche iscritto.

Sono da poco passate le 21.30 quando fanno improvvisamente irruzione nella sede cinque individui mascherati con passamontagna, tra cui una donna. Secondo il racconto fatto dallo stesso Di Mino agli agenti dell’ufficio politico della questura, uno dei cinque lo stordisce, vibrandogli un violento colpo alla testa con il calcio di una grossa pistola. Accasciatosi su pavimento, Di Mino viene ammanettato con i polsi dietro la schiena, legato alle caviglie con una catena, imbavagliato con un cerotto alla bocca e fotografato con una Kodak munita di flash, alla maniera del dirigente della Sit Siemens Macchiarini[10].

Corriere della Sera, 14 marzo 1972


Nel frattempo, la donna con una bomboletta spray firma l’azione, scrivendo su una parete della sezione “Niente resterà impunito. Brigate Rosse”, per poi dedicarsi con gli altri a perquisire e devastare i locali. 

Dopo pochi minuti, il nucleo armato si allontana, chiudendo la porta di ingresso con le chiavi tolte al Di Mino e portando via con sé vari documenti ed una macchina da scrivere[11] [12].

Bartolomeo Di Mino si trascina sino alla porta della sezione e chiede aiuto. Viene soccorso da un altro inquilino dello stabile, Gennaro Malinconico[13]. Arrivano Polizia e Carabinieri, accorre anche il Sindaco di Cesano Boscone, Cavalloni. Qualcuno corre in via dei Salici a chiamare la moglie. Di Mino, molto spaventato e dolorante, ancora ammanettato, viene accompagnato al Pronto Soccorso dell’Ospedale San Carlo, dove viene liberato e gli viene riscontrata una "ferita lacero contusa parietale destra, stato di choc e contusioni ecchimotiche varie, guaribili in gg.15 s.c.” [14]. Medicato, è trattenuto 48 ore in osservazione prima di essere dimesso.

Mentre Di Mino è ricoverato in ospedale, Antonino Allegra, dirigente dell’ufficio politico della questura di Milano, si rivolge al magistrato di turno “…che all'inizio non voleva venire. Gli dicemmo che si trattava di una aggressione e che il segretario era stato ferito. Il magistrato venne in ospedale. Il Di Mino riferì quello che era successo e alla fine il magistrato commentò con la frase: Ha detto nu cofano e fesserie."[15]

Di Mino riesce a fornire agli inquirenti i sommari connotati dei cinque giovani, e in particolare della ragazza che aveva visto in viso, poiché si era levata il passa montagna prima di uscire dalla porta di ingresso, mentre la luce era accesa. Le manette usate dagli autori del sequestro sono dello stesso tipo dì quelle usate per il sequestro dell’ing. Idalgo Macchiarini, in libera vendita nei negozi.

Due giorni dopo, il 15 marzo, arriva per posta alla direzione del "Corriere della Sera" un volantino ciclostilato a firma Brigate Rosse, col quale l’organizzazione si assume la paternità dell'aggressione, e la fotografia del Di Mino, riprodotto con la bocca tappata da nastro adesivo, sanguinante dal capo e con le mani strette alla schiena.[16] Purtroppo malgrado numerose ricerche non è stato possibile ad oggi ritrovare una copia della fotografia.

Corriere della Sera, 16 marzo 1972

«Le Brigate Rosse – recita il volantino - hanno occupato e perquisito la sede del MSI di Cesano Boscone rendendo all’impotenza il fascista presente. L’unica democrazia per gli sfruttati è il fucile sulla spalla degli operai. La strada che hanno preso è dunque quella della risposta diretta alla controrivoluzione armata dei padroni, e quella della giustizia proletaria esercitata dal popolo in armi. I fascisti assassini non devono disporre di alcuna agibilità politica nei nostri quartieri, nelle nostre fabbriche né altrove. Per questo ora diciamo: Questa sede si deve chiudere, si deve chiudere in fretta. Altrimenti ci penseremo noi e sarà peggio. A Milano, a Torino, a Roma e altrove le Brigate Rosse insieme al movimento di resistenza popolare hanno combattuto al grido «contro il fascismo guerra di classe». Hanno distrutto sedi, perquisito case, requisito armi, sequestrato documenti, incendiato macchine, case, negozi, arrestato e interrogato squadristi. Nessun fascista si illuda. Le Brigate Rosse andranno avanti su questa via, la via della lotta armata contro il fascismo e contro lo stato. Il voto non paga! Prendiamo il fucile! Tutto il potere al popolo armato!»[17]

Uguale volantino, nonché la fotografia del Di Mino, vengono consegnati in Questura da De Pasquale Renato, che li ha ricevuti per posta al suo indirizzo di Cesano Boscone.[18]

Superata la iniziale incredulità, prendono il via le indagini. Vengono effettuati fermi e perquisizioni, che sembrano imboccare la strada giusta: solo 15 giorni dopo, il 30 marzo, viene arrestata con altri due giovani una ragazza fiorentina, Gloria Pescarolo, perché sospettata dell’assalto. I tre vengono messi a confronto con Di Mino, che però non riconosce i due uomini e non è del tutto certo di riconoscere la donna[19]. La pista si rivelerà ben presto inconsistente, Gloria Pescarolo verrà scarcerata dopo qualche mese e completamente scagionata l’anno successivo.[20]

Gli articoli del Corriere della Sera sul fermo ed il rilascio di Gloria Pescarolo 

Il 2 maggio del 1972 la polizia fa irruzione in un covo delle B.R., in Via Boiardo 33. Tra il numeroso materiale che viene sequestrato c’è anche una foto di Bartolomeo Di Mino, con la didascalia “fascista pericolo pubblico numero 1”. Viene anche arrestato un brigatista, Marco Pisetta.[21]

Portato in questura, Marco Pisetta viene interrogato dal Commissario Calabresi e dal Giudice Viola, a cui è affidata l’inchiesta sulle prime azioni delle B.R. Pisetta accetta di collaborare e scrive un famoso memoriale, consegnato il 29 settembre 1972. È il primo pentito delle BR.

Marco Pisetta ed il brano del suo memoriale relativo al sequestro Di Mino
(da patrimonio.archivio.senato.it)

Nel memoriale, Pisetta afferma che all’azione di Cesano Boscone “…parteciparono Franco da Lorenteggio, Semeria, Cattaneo, Morlacchi, la Peusch, che provvide alle scritte murali, la Cagol ed altre donne. Durante l’operazione il Semeria, eccitato per le grida del Di Mino, estrasse la pistola col silenziatore di cui era in possesso e la puntò contro l’esponente missino, per sparargli alla testa. Ne venne impedito dal Morlacchi (o dal Cattaneo) che si frappose tra i due.”[22].

Giacomo Cattaneo era già stato arrestato il 13 maggio 1972. Il 15 ottobre 1974 sarà scoperto a Piacenza, in via Campagna 54/A, un covo delle B.R. Qui, tra il numeroso materiale sequestrato, verrà rinvenuto anche l’archivio di documenti sottratti alla sezione MSI di Cesano Boscone. Le indagini permetteranno di stabilire che l’appartamento era stato acquistato sotto falso nome da Margherita Cagol, che morirà il 5 giugno 1975 in uno scontro a fuoco coi Carabinieri.

Morlacchi e la moglie fuggiranno in Svizzera, ove saranno arrestati nel 1975 ed estradati in Italia; Umberto Farioli sarà arrestato a Torino il 10 novembre 1975. Giorgio Semeria verrà arrestato il 22 marzo 1976 alla Stazione Centrale di Milano.  

Il nucleo storico delle B.R. al processo di Torino
(foto da mole24.it)

L’inchiesta del Giudice Viola verrà unificata ad altre inchieste sulle B.R. in corso da parte di altre procure. Il primo processo al nucleo storico delle B.R. con 46 imputati inizierà al Tribunale di Torino il 17 maggio 1976 e si concluderà con la sentenza di condanna il 23 giugno 1978.

Bartolomeo Di Mino nel 1975 si candida consigliere alle elezioni comunali di Cesano Boscone senza essere eletto. Vive quegli anni in forte apprensione, per il timore di ulteriori attentati ai danni suoi o della sua famiglia. Si sposta scortato da altri militanti; poiché l’appartamento in via dei Salici è al piano terreno, è costretto a proteggere la porta e le finestre con sacchetti di sabbia,  per la paura di subire un attentato incendiario, come avvenuto a Primavalle.[23] Il 19 aprile 1978 Bartolomeo di Mino viene ascoltato al processo di Torino come parte lesa.[24] Il 28 settembre 1979, a soli 51 anni, Bartolomeo Di Mino muore, per una grave e rapida malattia.

Piero Morlacchi e la moglie Heidi Peusch
 nel 1977 durante un processo (foto da baruda.net)


Trent’anni dopo Manolo, il figlio di Piero Morlacchi e Heidi Peusch, pubblicherà un libro sulla storia della sua famiglia, in cui confermerà la responsabilità dei suoi genitori nell’azione. “Nel 1972 venne organizzata un’irruzione nella sede del MSI di Cesano Boscone, a pochi chilometri di distanza dal Giambellino. Solo qualche anno prima di morire mia madre mi raccontò che a quell’azione aveva partecipato anche lei, in compagnia di suo marito. Nella sezione fascista c’era il segretario, Bartolomeo Di Mino. Non sono a conoscenza di come andarono precisamente le cose; di fatto, il segretario missino finì all’ospedale per le contusioni. La versione di mia madre era che il missino alla vista dei compagni iniziò ad urlare e tentò una reazione; prese un po’ di botte e poi venne legato e imbavagliato. L’aspetto eccentrico dell’episodio è che mia madre si fece impietosire dalle condizioni del malcapitato: mentre gli altri si dedicavano a prelevare i documenti dagli archivi e a tracciare scritte sui muri della sezione, Heidi restò a soccorrere il ferito. (…) Mio padre per un attimo se la prese, poi mise la cosa sul ridere e per lungo tempo continuò a prenderla in giro.”[25]

Due anni dopo l’assalto alla sezione MSI di Cesano Boscone, il 17 giugno 1974, le Brigate Rosse alzeranno ulteriormente il livello dello scontro, commettendo a Padova i primi due omicidi politici. Sarà questo l’inizio di una tragica scia di sangue, destinata purtroppo a durare molti anni.



L’autore ringrazia sentitamente Pietro Di Mino, figlio di Bartolomeo Di Mino,  per aver condiviso i propri ricordi sul padre e sulla vicenda.


[1] Commissione Moro, documentazione pervenuta dal CESIS, Parte II, pag. 782 e seguenti

[2] Corte di Assise di Torino, sentenza n. 49/77 del 9.1.1977

[3] Commissione Moro, documentazione pervenuta dal CESIS, Parte II, pag. 782 e seguenti

[4] V. Tessandori, BR imputazione banda armata, Baldini & Castoldi, 2000, pag. 69/70

[5] Corte di Assise di Torino, sentenza n. 49/77 del 9.1.1977

[6] V. Tessandori, opera citata, pag.73

[7] Idem, pag.78

[8] Corriere della Sera, 12 agosto 1978

[9] Piero Ignazi, L'estrema destra in Europa, Bologna, Il Mulino, 2000, pag. 255 

[10] Corriere della Sera, 14 marzo 1972

[11] V. Tessandori, opera citata, pag.90

[12] Requisitoria Processo Feltrinelli Brigate Rosse 22.3.75, Giudice Guido Viola, pag.323 e seg.

[13] Corriere della Sera, 14 marzo 1972

[14] Requisitoria Processo Feltrinelli Brigate Rosse 22.3.75, Giudice Guido Viola, pag. 323 e seg.

[15] Commissione parlamentare d'inchiesta sul terrorismo in Italia e sulle cause della mancata individuazione dei responsabili delle stragi, 73a seduta, 5 luglio 2000, audizione di Antonino Allegra, pag. 593/4

[16] Requisitoria Processo Feltrinelli Brigate Rosse 22.3.75, Giudice Guido Viola, pag. 323 e seg.

[17] V. Tessandori, opera citata, pag.91

[18] Requisitoria Processo Feltrinelli Brigate Rosse 22.3.75, Giudice Guido Viola, pag. 323 e seg.

[19] Corriere della Sera, 2 aprile 1972

[20] Corriere della Sera, 14 novembre 1973

[21] Corriere della Sera, 3 maggio 1972

[22] Il Borghese, 4 febbraio 1973, pag. 269

[23] Il 16 aprile 1973, a Primavalle, quartiere popolare di Roma, per un incendio doloso appiccato con benzina versata sotto la porta d’ingresso, muoiono due figli del segretario della locale sezione del M.S.I.

[24] Corriere della Sera, 20 aprile 1978

[25] M. Morlacchi, La fuga in avanti – La rivoluzione è un fiore che non muore, Cox18books, 2007, pag.. 87 e seg.


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