Anni '70 – I sequestri di persona a Cesano Boscone - parte prima

Nella zona di Cesano Boscone sono stati commessi negli anni ’70 tre sequestri di persona. In questa prima parte ho ricostruito il fenomeno criminoso e raccontato il primo sequestro del 1977 ai danni di Angelo Galli.

Un’attività criminale tipica di quegli anni

Il fenomeno dei sequestri di persona in Italia va dagli anni sessanta agli inizi degli anni novanta del secolo scorso, ma è particolarmente attivo tra gli anni settanta e anni ottanta quando, allo scopo di accumulare capitali, la mafia siciliana e soprattutto le 'ndrine calabresi dell'area jonica della provincia di Reggio Calabria decidono di sequestrare in tutta Italia persone, tra cui anche ragazzi e bambini, in cambio di un riscatto.

Il fenomeno venne descritto dai media anche come Anonima Sequestri, in analogia a quanto avvenuto in Sardegna nello stesso periodo ad opera dei criminali sardi.

I capitali ricavati dai sequestri venivano reinvestiti o nel settore edilizio o in acquisto di cocaina in Sud America.[1] Questo periodo mostrò come la 'ndrangheta non fosse un’organizzazione di poco conto, ma fosse capace di operare anche al Nord Italia, trovando gli appoggi, individuando i soggetti in grado di pagare un riscatto, e come fosse in grado di reimmettere il denaro ricavato nell'economia legale. La permanenza di ostaggi in Aspromonte dava anche prestigio alla 'ndrina autrice del sequestro, che mostrava e dimostrava chi comandasse in quell'area.[2]

Dei 694 sequestri avvenuti in quegli anni per mano della criminalità in Italia, di cui si calcola un giro d'affari di 800 miliardi di lire, più della metà finiscono nelle mani della 'ndrangheta.[3]

In Lombardia, a partire dagli anni '70 fino all'inizio degli anni '90, sono avvenuti 158 rapimenti a scopo estorsivo, di cui almeno un terzo per mano 'ndranghetista.[4] Gli altri sono commessi dalla mafia siciliana, dal clan camorristici, da terroristi o altri malavitosi.

Una volante della Polizia negli anni '70

A Cesano Boscone negli anni ’70 sono stati commessi tre sequestri di persona, uno ad opera della banda di Francis Turatello e due della ‘ndrangheta calabrese, ai danni di Angelo Galli, Carlo Lavezzari e Augusto Rancilio. Ecco la ricostruzione del primo di quei tragici episodi.

I luoghi dei tre sequestri a Cesano Boscone

8 Maggio 1977. Sequestro di Angelo Galli

Sono le 20.20 di domenica 8 maggio 1977. In Via Rossini, all’angolo con via Puccini, c’è il centro sportivo “Tennis Gal” di cui è titolare Angelo Galli, 44 anni, ex consigliere comunale della Democrazia Cristiana. Galli è considerato un uomo tranquillo: primo dei non eletti nella lista del suo partito, ha preso il posto di un consigliere dimissionario, ma nelle elezioni del 1974 non si è più candidato, dedicandosi con impegno alla gerenza del centro di via Rossini. 

Galli è sposato con Rita Bartezaghi, di 36 anni, ed ha due figli: Luigi di 13 anni e Gisella, di 8. La famiglia Galli abita in una vecchia cascina modernamente ristrutturata in vicolo Cortuccio 7, nella zona centrale di Cesano Boscone.  È considerata una famiglia benestante, ma non certamente in grado di sborsare un’ingente somma per il rilascio di un sequestrato. Il padre, Luigi Galli, è un ex agricoltore che negli anni del boom è riuscito a creare una discreta fortuna, vendendo numerosi terreni destinati alla costruzione di diversi palazzi. [5]

Angelo Galli esce dal centro sportivo e si dirige verso la sua utilitaria, una Fiat 500, per fare ritorno a casa. La moglie lo attende per festeggiare il quindicesimo anniversario di matrimonio.[6] All’improvviso, Galli viene circondato da quattro giovani a viso scoperto che, dopo averlo immobilizzato, lo trascinano verso un’Alfetta grigia targata Milano. A pochi passi c’è un cliente del Tennis Club, Alessandro Cattaneo, 40 anni, che cerca di intervenire. “Ero all’interno del tennis club, assieme ad altre tre persone, quando ho sentito il Galli gridare disperatamente: “Aiuto, aiuto, mi rapiscono”. Mi sono precipitato verso l’auto dei banditi ma, giunto a pochi passi, sono stato costretto ad arrendermi”. I rapitori lo costringono infatti a desistere, sparandogli contro diversi colpi di pistola. Per terra, gli inquirenti ritroveranno quattro bossoli. “Sfiorato dai proiettili, mi sono buttato a terra, mentre i rapitori, caricato l’ostaggio, si sono allontanati in auto verso il centro del paese”.[7]

Corriere d'Informazione, 9 maggio 1977

Al sequestro assistono anche diversi abitanti della zona che, richiamati dalle grida del rapito, si sono affacciati alle finestre. Le loro testimonianze sono raccolte dai carabinieri, agli ordini del maggiore Delfino[8] e dei capitani Chiarello e Scibona, e dagli agenti della squadra mobile milanese, agli ordini del vicequestore dottor Pagnozzi[9] e del commissario dottor Colucci.  Sul luogo del rapimento, oltre alla Fiat 500 che Galli non ha fatto in tempo ad aprire, gli inquirenti hanno trovato per terra il borsello della vittima ed una scatola di medicinali che il rapito era costretto a prendere da qualche tempo. Viene accertato che prima del sequestro la figlioletta di Angelo Galli, Gisella, di 8 anni, ha ricevuto una strana telefonata.  Una voce maschile, senza particolari inflessioni dialettali, ha chiesto: “Dov’è tuo papà?” Quando la bambina ha risposto che il padre era al tennis club la comunicazione è stata interrotta.[10] Ma la notizia viene subito ridimensionata. “Quando il telefono è squillato – dice la moglie Rita – ha risposto la mia bambina. Ma la voce al telefono era probabilmente di qualche nostro conoscente, che saputo quello che era successo voleva informarci. Poi, sentita la bambina, non ha avuto il coraggio di parlare”.[11]

Inizia per i familiari l’attesa di un contatto. Nei giorni successivi, numerose persone si recano nell’abitazione del rapito in vicolo Cortuccio 7, per portare la loro solidarietà ai familiari. Fra gli altri, il Sindaco di Cesano Boscone Epifanio Li Calzi, con il quale sia la moglie che il padre del sequestrato si consultano per la scelta di un avvocato che dovrebbe tenere i contatti con i sequestratori.

Corriere della Sera, 10 maggio 1977

Polizia e carabinieri sono certi il sequestro è stato compiuto da una banda composta da mafiosi, in una zona tristemente nota per essere diventata negli ultimi anni un centro dominato dalla malavita organizzata.[12] L’Alfetta utilizzata dai rapitori viene nel frattempo ritrovata dai carabinieri in fondo a via Ludovico il Moro.

Corriere d'Informazione, 10 maggio 1977

Dopo qualche giorno, arriva la prima richiesta dei banditi. Viene sparata una cifra pazzesca, che la famiglia non è assolutamente in grado di pagare: si parla di tre miliardi di lire. Dopo aver portato avanti la trattativa per alcuni giorni, i contatti però si interrompono.

Il 24 maggio i carabinieri guidati dal maggiore Delfino compiono una serie di arresti a Milano e nell’hinterland. Finiscono in carcere 22 persone appartenenti alle ‘ndrine calabresi, accusate di vari sequestri precedenti e forse responsabili anche di quello di Angelo Galli. La famiglia Galli rimane senza notizie del rapito.

Corriere della Sera, 26 maggio 1977

Corriere d'Informazione, 27 maggio 1977

Tre giorni dopo, la stampa riporta la notizia che le famiglie di nove rapiti, tra cui la famiglia Galli, hanno messo a disposizione una taglia di trecento milioni a chi darà notizie utili alla liberazione dei loro congiunti.

I rapitori continuano a tacere, tutto il mese di giugno trascorre nell’angoscia dell’attesa. Racconterà la moglie: “Ormai ci eravamo quasi rassegnati, erano settimane e settimane che non ricevevamo più telefonate dai rapitori”.[13] Altri arresti vengono effettuati dai Carabinieri nel corso del mese di luglio.[14]  Non si esclude che i rapiti ancora in mano alla banda, tra cui Angelo Galli, possano essere presto liberati dai gregari, rimasti senza istruzioni e braccati.[15]

Corriere della Sera, 31 luglio 1977

Infatti, nella notte tra il 29 ed il 30 luglio 1977, a Piano Rosa, sulla statale Arona-Biella, in Piemonte, un uomo bussa alla porta di un caseificio: “Aprite, sono Angelo Galli, il rapito”. Vengono chiamati i carabinieri di Arona. Dalla caserma, Angelo Galli chiama la moglie: “Rita, è finita, sono Angelo, vieni subito”.  Ai carabinieri Galli racconta di essere rimasto per tutta la prigionia legato ad una brandina, gli occhi bendati con cerotti, le orecchie chiuse da tappi di gomma. Ha cambiato quattro prigioni diverse. Non ha mai potuto lavarsi. I carcerieri non li ha mai visti né sentiti parlare, ma lo trattavano con umanità. Lo hanno liberato in un campo di granturco adiacente al caseificio dopo un percorso di almeno 70 chilometri.

Corriere della Sera, 31 luglio 1977

Alle 3 di mattina Angelo Galli rientra a casa a Cesano Boscone dopo 82 giorni di prigionia. I carcerieri avevano interrotto il lungo silenzio telefonando di nuovo alla moglie che, tutta sola e consultandosi solo con i parenti, aveva condotto le trattative. “Dopo la prima telefonata – racconta la moglie – ho chiesto una prova per capire se Angelo fosse ancora vivo. Ho chiesto che gli facessero scrivere una cosa che solo noi due potevamo sapere: il nome dell’albergo di Salsomaggiore dove siamo andati in viaggio di nozze. Poi una seconda prova: una fotografia, che mi è stata recapitata in un cestino di rifiuti, a Milano”.[16]

Il riscatto è stato consegnato a Milano giovedì sera, due giorni prima della liberazione, dal cognato del rapito, Giorgio Bartezaghi, al termine di un percorso organizzato come “una specie di caccia al tesoro”: gli fanno trovare in un cestino dei rifiuti un messaggio contenente le indicazioni della meta successiva, fino a quando gli viene ordinato di lasciare il pacco contenente il denaro in un’auto parcheggiata nei pressi di piazza Miani.[17]  La cifra pagata, 170 milioni di lire, molto inferiore alle richieste iniziali, è stata raccolta tra parenti e amici, dopo che i beni della famiglia erano stati bloccati dalla magistratura.[18]

Salvatore Ugone, uno dei boss arrestati nel 1977, morirà d’infarto in carcere nel 1980[19]. Solo nel 1990, con l’arresto ed il successivo pentimento di Saverio Morabito, boss calabrese di Platì trapiantato a Milano, verranno scoperti tutti i retroscena del sequestro. Il processo in Corte d’Assise a Milano nel 1997 si concluderà con la condanna di tutti gli ulteriori responsabili.[20]

(fine prima parte, l'articolo segue qui)



[1] Mario Casaburi, Borghesia mafiosa: la 'ndrangheta dalle origini ai giorni nostri, Dedalo, 2010,

[2] Enzo Ciconte, Atlante delle mafie. Volume Terzo, Soveria Mannelli, Rubbettino Editore, 2015

[3] https://it.wikipedia.org/wiki/Periodo_dei_sequestri_di_persona_in_Calabria

[4] Vivere e morire di 'ndrangheta, in espresso.repubblica.it, 14 marzo 2013

[5] Corriere della Sera, 9 maggio 1977

[6] Corriere d’Informazione, 9 maggio 1977

[7] Idem

[8] Francesco Delfino (1936-2014), in seguito generale di divisione dei Carabinieri e dirigente del Sismi, ha avuto un ruolo di primo piano nel quadro di indagini e fatti relativi a vicende delittuose di grande rilevanza, legate a mafia, criminalità comune, politica e stragi terroristiche, tra cui gli arresti di Flavio Carboni e Totò Riina.

[9] Antonio Pagnozzi (1936-2020), già collega del Commissario Calabresi all’Ufficio Politico, dirige dal 1973 la Squadra Mobile milanese. Promosso poi Questore in varie città (Cosenza, Pavia, Genova), nel 1998 è nominato Questore di Roma, per poi essere nominato Prefetto a Vercelli e a Lecco. 

[10] Corriere della Sera, 9 maggio 1977

[11] Corriere d’Informazione, 9 maggio 1977

[12] Corriere della Sera, 10 maggio 1977

[13] Corriere d’Informazione, 27 maggio 1977

[14] Corte d’Assise di Milano, sentenza “Nord Sud”, 11 giugno 1997, pag. 492 e seg.

15] Corriere della Sera, 3 luglio 1997

[16] Corriere d’Informazione, 30 luglio 1977

[17] Corte d’Assise di Milano, sentenza “Nord Sud”, 11 giugno 1997, pag. 492 e seg.

[18] Corriere della Sera, 31 luglio 1977

[19] Corriere della sera, 9 novembre 1980

[20] Corte d’Assise di Milano, sentenza “Nord Sud”, 11 giugno 1997, pag. 492 e seg.



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