1957: La "Banda delle Tute Blu" rapina la banca di Cesano Boscone – Un colpo della Ligera

A Cesano Boscone, in via Monsignor Pogliani, davanti alla Chiesa ed al Municipio, c’era un edificio da tempo abbandonato, che per molti anni ha ospitato una banca. Forse non tutti sanno che nel 1957 questa banca fu assaltata da una delle più famose bande di rapinatori del dopoguerra, quella delle Tute Blu.

Ecco la ricostruzione di quella vicenda, anche attraverso le colorite cronache dei giornali, scritte nello stile di quegli anni.

L’edificio abbandonato nel centro di Cesano Boscone

È il 6 marzo del 1957, un mercoledì. Sono le 15.20 ed a Cesano Boscone pioviggina. La succursale della Banca Popolare di Abbiategrasso, in via Monsignor Pogliani, è l’unica banca del paese. È stata aperta da meno di due anni, in una palazzina circondata da un grazioso giardino. Al primo piano c’è un appartamento in cui vive il Direttore, Ragionier Pietro Bona fu Carlo, di 67 anni, che vi risiede con la consorte, Rosa Bruzio, un figlio e la cameriera. Nel salone della banca, a piano terra, sono presenti a quell’ora insieme al Direttore due impiegati, il trentenne Andrea Mattavelli di Abbiategrasso e il ventisettenne Remo Rampoldi di Milano. Non ci sono clienti.[1]

La rapina

Corriere d’Informazione, 6 marzo 1957

L’ora X è scattata poco prima, quando un’automobile scura con a bordo quattro uomini ha imboccato la via Monsignor Pogliani. L’automobile, proveniente da Milano, passa lentamente davanti alla banca, prosegue per un centinaio di metri in direzione del centro del paese, poi torna indietro. Lina Airaghi, un’anziana signora che abita in uno stabile vicino, leva gli occhi dal tavolo su cui sta stirando e vede dalla finestra la vettura che si ferma accanto al marciapiedi opposto a quello della banca, ad una decina di metri di distanza.

“La signora Airaghi osserva incuriosita ed ha un tuffo al cuore: i quattro figuri a bordo dell’auto hanno il volto mascherato e tre di essi balzano a terra, impugnando delle armi. “Ci sono i ladri!” urla la donna al figlio Luigi, sedicenne, che le sta accanto “Bisogna chiamare i Carabinieri!”. Mentre il ragazzo si precipita verso il più vicino telefono, i tre rapinatori attraversano di corsa la strada. Vengono visti da un altro giovane cesanese, Clementino Melzi.”[2]

Corriere della Sera, 8 marzo 1957

“Due gangsters arrivano davanti all’ingresso della banca, un terzo li raggiunge scendendo dall’auto per ultimo, con un mitra imbracciato. Quando si spalanca la porta, il direttore e i due impiegati vedono i tre che avanzano con il volto coperto da pezzuole colorate.  Due dei banditi, uno con impermeabile chiaro, l’altro col cappotto color cammello, spianano ciascuno una rivoltella. Il primo regge nell’altra mano una borsa nera, aperta. L’uomo col mitra si arresta invece sulla soglia, a proteggere le spalle dei complici, brandendo minacciosamente la sua arma. “Mani in alto!” sibilano i due gangsters. Ma non c’è bisogno dell’intimidazione perché direttore e impiegati, terrorizzati da quella vista, arretrano istintivamente con le braccia alzate. “Indietro, contro il muro!” ordinano i due uomini mentre superano la transenna e si avvicinano alla cassaforte. Fuori, in strada, il quarto uomo ha spostato l’automobile difronte all’ingresso e fa sentire la sua presenza con rabbiosi colpi d’acceleratore. La cassaforte è aperta: si possono scorgere alcuni pacchi di banconote da diecimila lire, mentre altri pacchi di banconote sono su un tavolo.

Mentre uno dei banditi riempie la borsa, il Direttore tenta una sortita, dirigendosi verso una porta interna, che conduce al piano superiore. Ma il gesto non sfugge all’altro bandito, che lo raggiunge con un balzo agguantandolo per il collo. “Fermo o ti brucio!” gli grida, incollandolo contro la parete. Con la borsa ricolma, il “cassiere” della banda infila l’uscita di corsa, seguito dagli altri due complici. All’ultimo è caduta dal viso, proprio sulla soglia della banca, la rozza maschera: un pezzo di un vestito da donna, di colore blu mare. Era fissato dietro la nuca da un elastico: un’estremità di questo si era scucito dalla stoffa.  Nessuno dei presenti ha potuto tuttavia scorgere bene il viso, perché il bandito voltava le spalle. La macchina si era appena mossa quando lanciava il suo acuto sibilo la sirena d’allarme della banca. Era stata azionata dall’appartamento superiore dalla moglie dei Direttore: udito un certo trambusto nei locali inferiori, la signora si era affacciata sulle scale e, resasi conto di quanto stava accadendo, aveva manovrato la suoneria.”[3]

Il giovane Luigi Airaghi, dopo aver telefonato alla Volante ed ai Carabinieri di Baggio, riesce anche a prendere nota del numero di targa della vettura in fuga: VA 52535.  

Corriere della Sera, 7 marzo 1957

Le indagini

I Carabinieri provvedono a creare posti di blocco sulle strade che da Cesano Boscone portano verso Baggio, vengono allertate tutte le pattuglie della Polizia Stradale munite di radiomobile, ma i banditi riescono a sfuggire all’accerchiamento. 

Corriere della Sera, 8 marzo 1957

La macchina viene vista passare velocissima al dazio del Lorenteggio, per poi svanire verso Via Inganni. A sera si saprà che la targa era falsa: l’ultima targa rilasciata a Varese porta il numero 53175. All’interno della banca rapinata, la Polizia accerta che i banditi si sono impossessati di un milione e mezzo di lire, circa 22.000 Euro odierni. Lo stipendio medio di un operaio quegli anni era di 50.000 lire al mese.

Le indagini si orientano ad attribuire il colpo di Cesano Boscone ad una fantomatica banda che ha effettuato nelle settimane precedenti varie rapine e altre ne compie in quelle successive: una tabaccheria di via Tagiura, una banca in Via Solferino, una oreficeria di Via Romano, un’altra banca di piazza Wagner ed un portavalori in via Porro Lambertenghi. 

Corriere della Sera, 8 marzo 1957


Corriere della Sera, 9 marzo 1957

Ma le piste seguite non conducono a niente ed i banditi riescono sempre a sfuggire e sembrano introvabili. La Polizia sembra impotente.  I mesi trascorrono senza risultati concreti, sino all’anno successivo.

La rapina di via Osoppo

La mattina del 27 febbraio 1958 viene compiuta a Milano una clamorosa rapina ad un furgone portavalori della Banca Popolare di Milano, che frutta ai rapinatori denaro e titoli per 580 milioni di lire, corrispondenti ad oltre 7 milioni di Euro attuali. Una rapina destinata a rimanere nella storia, con un bottino per l’epoca da capogiro.

La scena della rapina di Via Osoppo (da www.milanocittastato.it)

La banda, composta da sette uomini, grazie ad un piano ben congegnato, riesce a bloccare la via Osoppo con un camioncino, a speronare l’auto del portavalori con un’altra auto e ad effettuare il colpo senza spargimenti di sangue.

I sette indossano tute blu da operaio, hanno un passamontagna e un arsenale di pistole e di mitra. Sei banditi accerchiano il furgone e lo svuotano, mentre il settimo tiene a bada i passanti e curiosi. Poi fuggono. Da quel giorno sono chiamati "La Banda delle Tute Blu".

Corriere della Sera, 28 febbraio 1958

Ma qualche giorno dopo, un passante trova in riva all’Olona un sacco con delle tute blu e dei passamontagna. È l’inizio della fine. Le indagini imboccano la strada giusta e un mese dopo il colpo vengono arrestati 12 membri della “Banda delle Tute Blu”. Portati in Questura e poi a San Vittore, alcuni degli arrestati iniziano ben presto a parlare ed a confessare anche vari colpi precedenti, tra cui quello alla filiale della Popolare di Abbiategrasso a Cesano Boscone. Seguono altri numerosi arresti.

Corriere della Sera, 31 marzo 1958

La Ligera

Gli arrestati erano uomini, quasi tutti di trent’anni o poco più, che fino al giorno prima si erano arrangiati tra truffe, furti, rapine e affari loschi di vario tipo. Erano una piccola parte di quella che era nota come “la Ligera”, la malavita di Milano negli anni del dopoguerra. 

Controlli di polizia in Piazza del Duomo, Archivio Giancolombo, 1957 (da www.milanoinmostra.it)

Non si sa da dove arrivi questa parola: forse è un riferimento alla leggerezza delle tasche dei rapinati, forse alla leggerezza degli atti compiuti, che erano quasi sempre senza spargimento di sangue. La Ligera era fatta di tanti piccoli gruppi separati e non molto organizzati. Ne facevano parte ex partigiani che, finita la guerra, non avevano potuto o voluto reinserirsi in altro modo nella società, papponi, rapinatori, sequestratori, biscazzieri, allibratori, ladri d'appartamenti, truffatori, spacciatori, strozzini, contrabbandieri, ricettatori, tutti disorganizzati e spesso in conflitto tra loro. 

Secondo Danilo Montaldi la Ligera sarebbe nata in seguito all'inurbamento e all'emarginazione del proletariato agricolo dell'immediato dopoguerra, che avrebbe cercato nell'illegalità una nuova forma di sostentamento pur rimanendo ancorato a determinati "valori" condivisi.[4] Sono proprio questi valori, insieme alla pressoché totale assenza di legami con le potenze del crimine organizzato italiano, la caratteristica fondamentale della Ligera. I suoi appartenenti erano spesso disoccupati che ricorrevano al crimine per sopravvivere oppure artigiani che cercavano di arrotondare, e non si consideravano dei criminali ma piuttosto dei banditi. Seguivano un codice e cercavano per quanto possibile di non fare del male a nessuno, vantandosi di non aver mai commesso omicidi.

Piazza Fontana dopo i bombardamenti (ANPI Lissone)

I banditi della Ligera arrivavano soprattutto dal Giambellino, dall’Isola, da Lambrate e dal Ticinese, da luoghi definiti “coacervi di rovine bombardate, bottiglierie frequentate da malfattori e case d’appuntamenti d’infimo livello, dove è bene non recarsi dopo il tramonto”.[5] Per questo i ligerini erano ben visti da una parte degli abitanti di Milano, anche perché capitava che qualche malvivente della Ligera aiutasse o proteggesse gli abitanti del suo quartiere.

Della Ligera parlano anche le canzoni note come le canzoni della mala: "Ma mi…", scritta da Giorgio Strehler e cantata da Ornella Vanoni, racconta con evidente empatia la storia di un ligerino che è stato arrestato e che, pur di non fare i nomi dei complici, preferisce passare quaranta giorni e quaranta notti a farsi picchiare nel carcere di San Vittore.[6] “Una sera in una strada scura / occhio c’è una lambretta / fingendo di non aver paura / il Cerutti monta in fretta/ma che rogna nera quella sera! Qualcuno vede e chiama / veloce arriva la pantera”, cantava invece Giorgio Gaber ne La Ballata del Cerutti”. Anche "Porta Romana bella", cantata da Nanni Svampa, è una delle canzoni più famose dedicate alla Ligera.

La confessione

Gli arrestati per la rapina di via Osoppo raccontano che alle 15.20 di quel 6 marzo 1957 nell’auto arrivata a Cesano Boscone c’erano quattro persone. Enrico Cesaroni al volante, Luciano De Maria al suo fianco, Ugo Ciappina e Romano Perego nei due sedili posteriori.

I quattro banditi della rapina a Cesano Boscone (foto archivio Corriere della Sera)

Enrico Cesaroni, meglio conosciuto nell’ambiente come “Enrico il droghiere” abita in via Chinotto 40 e conduce la doppia vita di commerciante e rapinatore. Dopo la rapina di via Osoppo, riesce a fuggire in Venezuela, facendosi incastrare pochi mesi più tardi da un errore fatale: una cartolina inviata in Italia.[7]

Ugo Ciappina ha 30 anni e ha già fatto parte della “Banda Dovunque”, chiamata così perché faceva rapine dappertutto. È stato un ex partigiano comunista nei GAP. Nel 1945 era stato preso e portato a San Vittore dalle SS; torturato, non aveva confessato nulla. A San Vittore c’era tornato alla fine degli anni quaranta, quando erano stati arrestati i membri della Banda Dovunque, che travestiti da Carabinieri erano entrati in una banca dicendo di dover fare un controllo.[8]

Ciappina in carcere aveva conosciuto Luciano De Maria, il figlio di un muratore emigrato in Svizzera e poi rientrato a Milano. A 17 anni De Maria era già al Beccaria con una condanna a 4 anni e 4 mesi per rapina a un commerciante. Uscito dal Beccaria, ci era ricascato subito e per questo era finito di nuovo a San Vittore. [9] Abita con mamma e moglie in una villetta malmessa in via Tiepolo 33. [10]

Una volta usciti dal carcere, Ciappina e De Maria avevano messo in piedi la banda. “Ci sentivamo padroni di Milano, avevamo addosso una grande spavalderia. In fondo è stato meglio che ci abbiano preso, altrimenti chissà dove saremmo arrivati.” dirà anni dopo Luciano De Maria.[11]

Romano Perego, 28 anni, detto “testa di pietra”, ha precedenti per furto e contrabbando di sigarette, per i quali era finito in riformatorio. Si specializza poi in furti di automobili. Abita in via Forze Armate 177.[12] Dopo l’arresto, manifesta gravi problemi psichiatrici per i quali viene trasferito da San Vittore al manicomio criminale di Montelupo Fiorentino.[13]

Corriere della Sera, 10 aprile 1958


Corriere della Sera, 10 aprile 1958

È Cesaroni a condurre l’auto in via Monsignor Pogliani, davanti alla banca. Ciappina scende con il mitra imbracciato e protegge gli altri due, che entrano con le rivoltelle spianate. È De Maria a scavalcare il bancone e ad arraffare il bottino, mentre è Perego a bloccare il Direttore che cerca di correre verso le scale. Ciappina racconta un dettaglio che fa sorridere: Cesaroni, nella foga della fuga, mette in moto la macchina quando lui non è ancora salito. Ma Cesaroni se ne accorge e ferma la vettura qualche metro più in là. Anche Ciappina può salirvi. Nella spartizione del bottino, Enrico il droghiere pretende la parte più grossa, adducendo il pretesto delle spese di organizzazione; agli altri tre complici rimangono le briciole, 140.000 lire a testa. [14]

Il processo e le condanne

L’istruttoria sulla banda delle tute blu termina nel maggio del 1958 con il rinvio a giudizio di 25 imputati; il processo inizia a Milano il 1° luglio e si conclude il 12 novembre del 1959.


Corriere della Sera, 18 maggio 1958

Corriere della Sera, 10 ottobre 1959


Corriere della Sera, 12 dicembre 1959

I quattro rapinatori di Cesano Boscone vengono riconosciuti colpevoli del colpo e di varie altre rapine, per le quali vengono così condannati: Ugo Ciappina: 17 anni, 2 mesi e 15 giorni di reclusione, 370.000 lire di multa; Enrico Cesaroni: 18 anni, 4 mesi di reclusione e 439.000 lire id multa, con 2 anni di reclusione condonati; Luciano De Maria: 20 anni, 8 mesi, 5 giorni di reclusione e 495.000 lire di multa; Romano Perego, con diminuzione parziale per vizio di mente: 8 anni, 2 mesi, 5 giorni di reclusione e 100.000 lire di multa.[15] Nel novembre del 1960 la sentenza d’appello conferma sostanzialmente le responsabilità degli imputati, attenuando leggermente le pene.[16]

 Epilogo

La Ligera iniziò negli anni sessanta a cambiare profondamente, allontanandosi sempre di più da quei valori e dagli ideali di giustizia sociale su cui era fondata. Da una malavita povera e disorganizzata, che faceva crimini per sbancare il lunario, si sarebbe presto trasformata in una vera e propria organizzazione criminale, legata al mondo della finanza e alle mafie. Da quel momento i metodi si sarebbero fatti sempre più violenti e la criminalità organizzata si sarebbe strutturata sempre più sui modelli della camorra e della mafia siciliana. Del resto, nel frattempo anche Milano era cambiata: la città in macerie dell'immediato dopoguerra si stava pian piano trasformando nella Milano da bere degli anni Ottanta.  

E che ne è stato dei quattro rapinatori di Cesano Boscone?

Ciappina ha finito di scontare la pena nel 1974. Negli anni seguenti è stato arrestato varie altre volte per rapina, ma è sempre stato assolto. Ha compiuto 90 anni e vive tutt’ora a Milano. De Maria è morto nel 2010, dopo aver pubblicato un libro, “Vita di un bandito”. Anche Cesaroni è morto di morte naturale, nel 1996.  Perego è stato invece ucciso a Milano in via Varsavia il 28 giugno 1975, durante il tentativo di rapina ai danni di un furgone blindato.

A Cesano Boscone, la sede della Banca Popolare di Abbiategrasso è rimasta lì, vuota e abbandonata per molti anni. Nell'ottobre 2021 è stata demolita, per lasciare spazio ad un nuovo edificio di appartamenti.

La banca nel 1957 e nell'estate 2021 (da Google Maps)

La banca demolita nell'ottobre 2021 (foto dell'autore)



[1] Corriere della Sera, 7 marzo 1957

[2] Corriere della Sera, 8 marzo 1957

[3]   Corriere della Sera, 7 marzo 1957

[4] Danilo Montaldi, “Autobiografie della leggera”, Bompiani, 2012 

[5] Catalogo mostra fotografica “Mala a Milano”, Palazzo Morando 2017/18.

[6] La Rapina di via Osoppo 60 anni fa, su Il Post, 27 febbraio 2018

[7] https://forbes.it/2017/10/30/il-romanticismo-della-mala/

[8] Ibidem

[9] Libero, 26 dicembre 2010

[10] http://milanoneisecoli.blogspot.com/2015/02/la-rapina-di-via-osoppo.html

[11] Corriere della Sera, 5 aprile 2006

[12] Corriere della Sera, 3 novembre 1959

[13] Corriere della Sera, 26 settembre 1959

[14] Corriere della Sera, 10 aprile 1958

[15] Corriere della Sera, 12 novembre 1959

[16] Corriere della Sera, 27 novembre 1960


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