Storia della Cascina e della Cava Garegnano
L'area della periferia milanese compresa tra le vie Calchi Taeggi, Bisceglie e Kuliscioff è oggetto da qualche anno di un importante investimento di rigenerazione urbana, la costruzione del nuovo quartiere residenziale "Sei Milano" da parte della società Borio Mangiarotti.
Mappa Clarici del 1659 |
Il nome Garegnano deriva dal nome proprio antico Garenius, Marcido indica che la cascina si trovava in mezzo a prati coltivati a marcita.
Accanto alla cascina vi era anche un oratorio, ultima traccia di un antico ed importante monastero dedicato alla Madonna, Santa Maria di Garegnano. Vicino a Garegnano Marzo era segnalata anche Cassina Sgualginasco, di antica origine, già sede di una fornace dal XIV secolo, ma di questa cascina si sono perse le tracce da tempo.
La storia più recente
Nel 1770 la cascina Garegnano risulta di proprietà del Monastero Maggiore della Vittoria, al pari della vicina cascina Creta.
La cascina Garegnano nel catasto del 1772 |
Dopo l'invasione Napoleonica, con la legge 26 marzo 1798 fu istituito il dipartimento dell’Olona (legge 6 Germinale anno VI a) e fu creato in questa zona il comune di Sella Nuova, dal nome della cascina ancor oggi esistente tra via Forze Armate e via Viterbo.
Il Comune Sella Nuova comprendeva le frazioni Barocca, Cassina Garegnano, Cassina Linterna, Cassinazza, Creta, Mazzo e Moretta e venne inserito nel distretto di Baggio.
In seguito alla successiva legge 26 settembre 1798 di ripartizione territoriale dei dipartimenti d’Olona, Alto Po, Serio e Mincio (legge 5 Vendemmiale anno VII), il Comune di Sella Nuova rimase nel dipartimento d’Olona, ma compresa nel distretto di Sedriano. Il Comune, in forza della legge 13 maggio 1801 di ripartizione territoriale della Repubblica Cisalpina (legge 23 Fiorile anno IX), venne poi incluso nel distretto I del dipartimento d’Olona, con capoluogo Milano.
Con l’attivazione del compartimento territoriale
del Regno d’Italia (decreto 8 giugno 1805) il comune di Sella Nuova continuò a
far parte del distretto I di Milano, inserito nel cantone V di Milano:
classificato come comune di III classe, contava allora 135 abitanti.
Nel 1808 Sella Nuova fu annessa per la prima volta a Milano per volere del governo di Napoleone, recuperando l'autonomia nel 1816 con la costituzione del Regno Lombardo-Veneto da parte degli austriaci. Dopo l'unità d'Italia, nel censimento del 1861 il Comune di Sella Nuova contava 333 abitanti. Fu definitivamente soppresso venendo annesso a Baggio nel 1869.
Nel 1923 anche il Comune di Baggio fu soppresso e
annesso alla città di Milano.
Negli anni tra le due guerre mondiali, nei
terreni della Cascina Garegnano fu creata una cava per l’estrazione di sabbia e
ghiaia.
Un articolo pubblicato sul Corriere della Sera
racconta che nel maggio del 1938 nella Cava Garegnano fu inaugurata, con
ingresso da via Bisceglie 35, la sede della pesca sportiva del Dopolavoro
Ferroviario di Milano. Venne tracciata una strada perimetrale, furono sistemate
le sponde, piantati alberi ornamentali e da frutto. Lungo le rive vennero
piantate erbe palustri per favorire la deposizione delle uova da parte dei
pesci. Furono posizionate rastrelliere per le biciclette dei soci e costruiti
chioschi per la sosta ed il ricovero dei
soci e dei loro familiari. Fu creata persino una biblioteca ed un impianto per
il tiro al piattello. Ogni anno la cava veniva ripopolata con migliaia di
avannotti di tinca e di carpa. Lungo le sponde della cava vennero anche
collocati tre capanni di appostamento per la caccia invernale notturna alle
anatre e altri uccelli di passo[1].
Nel censimento della popolazione del 1951, la Cascina di Garegnano contava 76 abitanti e quella di Garegnano Marcido 79 abitanti. In quegli anni, successivi alla fine della seconda guerra mondiale, nelle aree coltivate della Cascina Garegnano le attività di estrazione di sabbia e ghiaia si svilupparono ulteriormente. Il dopolavoro ferroviario fu chiuso.
Un trenino con vagoncini, rimasto in servizio sino alla fine degli anni sessanta, trasportava la sabbia e la ghiaia cavate fino al deposito nei pressi dell’attuale via Zurigo, chiamato “i sabbioni”. Dal deposito di Via Zurigo i binari proseguivano poi verso il centro di Milano, fino ai sabbioni di Piazzale Perrucchetti. Qui i “caretù” caricavano con il badile la sabbia e la ghiaia sui “marnoni” per trasportarla nei cantieri edìli. Il nome specifico di caretù derivava dall’impiego di particolari carri a due ruote di legno cerchiate in ferro e del diametro di circa due metri, col pianale a sponde alte e chiuse, che in gergo erano chiamati marnoni per la loro forma simile ad una madia. Per trainare i marnoni si usavano cavalli e muli piuttosto robusti, che riuscivano a muovere i pesanti carichi sino agli scavi per le fondamenta delle case, spesso con le ruote semi affondate nella fanghiglia.
L’utilizzo dei marnoni era molto razionale; difficilmente questi carri si muovevano senza un carico da trasportare. Al viaggio d’andata con un carico di sabbia faceva seguito un ritorno con macerie ed altri materiali inerti, che venivano scaricati in cava. Le disposizioni del Demanio in termini di concessione estrattive prevedevano infatti che il “cavatore”, al termine delle escavazioni, dovesse restituire l a superficie a verde agricolo.
Un tempo questa scelta poteva avere anche un senso, in quanto gli scavi erano eseguiti a mano con grossi badili e raramente raggiungevano profondità superiori a tre-quattro metri dal piano di campagna. Inoltre, i materiali riversati erano costituiti per lo più da macerie di edifici bombardati[2] e dal terreno ottenuto dagli scavi delle fondamenta di nuove case.
Col passare del tempo, la cava di Garegnano venne dotata di potenti argani e le draghe potevano così prelevare a notevole profondità, anche alcune decine di metri. Allo scarico di materiali inerti si aggiunse purtroppo quello di rifiuti di ogni genere. E’ stato calcolato che sino agli anni ottanta siano stati versati nella ex cava Garegnano 1 milione e 800.000 metri cubi di rifiuti pericolosi e non pericolosi, tra cui farmaceutici e industriali, che hanno provocato l’espandersi di arsenico, ammoniaca e manganese nella falda acquifera, con il conseguente avvelenamento delle acque, anche destinate al consumo urbano.
L’esistenza della discarica è stata quindi oggetto dal 2010 di un lungo contenzioso giuridico sulla necessità di bonifica dell’area, che ha ostacolato lo sviluppo del progetto “Sei Milano”. Solo nel 2018 la vicenda giudiziaria si è conclusa, rendendo possibile l’avvio dei lavori di costruzione del nuovo quartiere.
Ciò che rimane degli edifici della Cascina Garegnano è stato per anni occupato dalla Sede della Società di trasporti Foppiani; la Cascina Garegnano Marcido, dopo aver ospitato per molti anni un auto demolitore, è stata recentemente riconvertita in residenza.
I fatti di cronaca del dopoguerra
Ci sono due gravi fatti di
cronaca avvenuti alla Cava Garegnano, che è stato possibile rintracciare negli
archivi dei quotidiani milanesi.
18 giugno 1954 : due bambini muoiono
annegati nella cava.
“Due bimbi sono morti ieri, annegati nelle gelide acque di una cava di sabbia: il primo era caduto dalla sponda friabile proprio nel punto di maggiore profondità; il secondo si era lanciato in suo aiuto, ed è stato a sua volta, paralizzato dal freddo, inghiottito dal liquido specchio che non ha ancora restituito i corpi delle piccole vittime. La cava di via Bisceglie, che ha una superficie di 300 pertiche, è la più grande tra quelle comprese nel territorio del Comune: un grande imbuto, circondato da terra arida. Sul fondo della cava lavora con un rombo continuo e sordo la macchina scavatrice, che fornisce sabbia ai cantieri. Per questo l’acqua diventa subito profonda e resta fredda anche in piena estate. Il pendio sotto la superficie corre ripido verso il fondo e cede continuamente sotto i piedi. Tuttavia molti nuotatori la frequentano, e anche ieri oltre un centinaio di persone erano raccolte sui bordi al momento della sciagura, verso le 15.30, cercando refrigerio alla prima calura.
Sembra che il gruppo dei ragazzi, di cui facevano
parte i due annegati, avesse intenzione di bagnarsi, ma più tardi. Il più
piccolo del gruppo, Mario Scagliocco, di 7 anni, correva dietro agli altri
sulla sponda, quando la terra ha ceduto sotto i suoi piedi. Mario è finito in
acqua infilandosi nella cava proprio dove è più profonda, 10 metri. I ragazzi
hanno guardato se il corpo del piccolo tornasse a galla, ma non l’hanno più
visto. Allora si è tuffato spontaneamente uno dei più grandi, Gaetano Di Marco
di 11 anni. Ma anche il Di Marco non è più riapparso in superficie. Gli altri
ragazzi pur spaventati non si sono arresi. Non osando più tuffarsi, hanno
formato la catena, i primi ancorati solidamente sulla sponda hanno dato la mano
a quelli che si sono avanzati con i piedi in acqua, poi fino alle ginocchia,
alla vita. Ma la mano rimasta libera dell’ultimo della catena ha battuto
inutilmente l’acqua, in cerca disperata. Intanto è corsa la gente, si è
provveduto a fermare la macchina, due giovanotti hanno voluto tuffarsi, invano.
Erano arrivati intanto sul posto agenti della Volante e pompieri, che hanno
iniziato a scandagliare la cava. Le ricerche sono continuate sino a sera, ma
inutilmente.
Un secondo articolo contiene una breve biografia dei due bambini; un terzo articolo pubblicato il giorno seguente racconta il tragico epilogo della vicenda, con una foto della cava.
“Mario Scagliocco non aveva ancora otto
anni. Viveva con il padre Antonio, cameriere in un bar in Galleria, e la mamma.
Nato a Canosa di Puglia era venuto a Milano con i genitori ed un fratello di 15
anni, sistemandosi in un appartamentino in via Inganni 67, un grosso caseggiato
che si affaccia, con altri, sulle campagne che si estendono attorno alla
tragica cava.
Gaetanino De Marco aveva 11 anni ed era
stato promosso alla quinta elementare. Figlio di un ortolano, aveva due fratelli
già grandi ed un altro, Pinuccio, di soli 2 anni. Nino abitava a pian terreno
della scala S, a breve distanza dal piccolo Mario.[4]”
“Il profilo di qualche raro gelso e i
cespugli incolti di robinie sembrano garantire una parvenza di scampolo agreste
in un settore che l’avanzata del cemento, con stabilimenti massicci e candide
case popolari, già aggredisce da vicino. Le rive della cava, del resto, aspre
di sassi e cosparse di rifiuti di ogni sorta, sono quanto di meno invitante si
possa immaginare per delle velleità balneari: ma ciò non toglie che quelle rive
divengano ogni anno, specie nei mesi di luglio e agosto, meta di bagnanti di
ogni sorta. Per lo più si tratta di adolescenti, o di operai che profittano del
tempo libero nel tardo pomeriggio, al termine del lavoro, per compiere qualche
tuffo e avere l’impressione di rinfrescarsi. Da qualche anno vi giungono sempre
più numerosi gli immigrati, quasi tutti provenienti da piccoli paesi del sud,
che male si adattano, inizialmente, ad una esistenza incanalata tra asfalto e
cemento, senza verde: quella pozza d’acqua e quel poco di verde stopposo
servono loro di diversivo. Anche per l’operaio verniciatore Mario Pisacreta,
nato 33 anni or sono a Santo Stefano del Sole, in provincia di Avellino, e
attualmente domiciliato in via Ludovico il Moro 155, la squallida cornice
campestre intorno alle acque limacciose della cava doveva sembrare, con un po’
di fantasia, una meta invitante”.
“Tenendo fra le mani una radiolina a
transistor che trasmetteva musica leggera, il verniciatore camminava lento
sotto il sole, lungo un sentiero che porta alla cava. C’era un silenzio
relativo, rotto soltanto da qualche automobile lontana e dalle grida di
richiamo che si lanciavano due bambini di otto-dieci anni, che erano arrivati
su due biciclette. Si erano tolti in fretta gli indumenti ed erano coi piedi nell'acqua, sino al ginocchio.”
“il dramma ha avuto uno svolgimento
fulmineo. I due ragazzi si sono avventurati troppo innanzi e non hanno più
trovato fondo. ‘Aiuto, affogo!' ha urlato uno di essi. Mario Pisacreta ha
lasciato la sua radiolina a transistor, si è tolto la giacca ed è accorso: il
suo impulso generoso ha avuto il sopravvento su qualsiasi riflessione di
prudenza. L’operaio si è subito trovato in difficoltà, ha raggiunto i bambini,
ma poi è scomparso sott'acqua.”
“In quel mentre passavano nei pressi
della cava due donne, abitanti entrambe nella Cascina Travaglia, in Via
Lorenteggio 260. ‘Mi sono precipitata subito – ha detto una delle due donne – e
le due creaturine erano ancora lì, così vicino alla riva che sembrava
facilissimo salvarle. C’era anche l’uomo, più sotto, una massa scura. Abbiamo
abbattuto un cartellone della pubblicità e l’abbiamo gettato, con la speranza
che servisse da salvagente. Ma non c’era più niente da fare. Siamo soltanto
riuscite a tirare a riva il più grandicello dei due ragazzi, l’altro e l’uomo
erano scomparsi'.[7]”
Le due donne tentarono invano una sommaria
respirazione artificiale al bambino, mentre arrivava altra gente ed i pompieri,
con tre sommozzatori. Gli altri due corpi vennero rapidamente individuati a sei
metri di profondità e portati a riva. Si tentò anche con loro una respirazione
artificiale, inutilmente.
Il giorno successivo il Corriere pubblicò le biografie delle tre
vittime e le loro fotografie.
“Michele Musciolà, figlio del vigile notturno Damiano, veniva da Trinitapoli, in provincia di Foggia, e avrebbe compiuto proprio oggi 10 anni. Ospite del collegio di Piancavallo, era stato promosso alla quarta elementare con il massimo dei voti. Il padre gli aveva fissato un appuntamento alle 18 vicino a casa. Con i fratelli avrebbe festeggiato il compleanno in anticipo, andando al cinema. Ma il padre lo ha atteso inutilmente per ore e ore, finché la notizia della sciagura lo ha raggiunto per strada e l’angoscioso sospetto è divenuto più tardi tragica certezza all’obitorio.”
“Pure dalla provincia di Foggia veniva il
tredicenne Rocco Maiorano: i genitori avevano lasciato la nativa Ischitella,
trasferendosi in Via Marchesi de Taddei con cinque figli maschi e due femmine.
Il 23 novembre dell’anno scorso il padre, mentre si recava al lavoro in bicicletta,
è stato travolto e ucciso da un’auto pirata all’angolo di Viale Murillo con
piazzale Brescia. Venerdì è stata la volta di Rocco.”
“L’imbianchino trentatreenne Mario Pisacreta
era immigrato da Santo Stefano del Sole, in provincia di Avellino, e viveva con
tre sorelle nubili cui fungeva da capofamiglia in Via Lodovico il Moro 159.
Egli era alla vigilia delle nozze ed avrebbe dovuto sposare alla fine
dell’estate un’altra immigrata, la trentaduenne Donata Todisco da Bari. Mario
era un altruista, come testimoniano diversi episodi ricordati dai congiunti e
dagli amici: recatosi una volta ad un pranzo benefico natalizio, si imbatté
sulla soglia in una vecchietta in lacrime perché non aveva il biglietto di
invito. L’imbianchino le cedette il suo e saltò il pasto.”
“I funerali delle tre vittime avranno
luogo martedì prossimo, dopo che il magistrato avrà concesso il nullaosta per
l’inumazione.[8]”
[2] idem, 14 giugno 1944
[3] idem, 19 giugno 1954
[4] idem, 19 giugno 1954
[5] idem, 20 giugno 1954
[6] Corriere d’Informazione, 27 luglio 1962
[7] Corriere della Sera, 28 luglio 1962
[8] idem, 29 luglio 1962
[9] idem, 13 ottobre 1964
[10] idem, 2 giugno 1967
[11] Corriere della Sera, 30 ottobre 1968