Storia della Cascina e della Cava Garegnano

 

L'area della periferia milanese compresa tra le vie Calchi Taeggi, Bisceglie e Kuliscioff è oggetto da qualche anno di un importante investimento di rigenerazione urbana, la costruzione del nuovo quartiere residenziale "Sei Milano" da parte della società Borio Mangiarotti.

Su una superficie di 300.000 metri quadrati sono in corso di realizzazione tre torri di uffici, opere pubbliche, spazi commerciali e oltre mille appartamenti, immersi in un grande parco di oltre 200 mila metri quadrati. Osservando questo enorme cantiere, mi è venuta la curiosità di ricostruire la storia del luogo e le vicende che lo hanno caratterizzato negli anni. 

Le origini

L'area si situa lungo una probabile diramazione della Via Francigena ai tempi dei grandi Pellegrinaggi Cristiani per Roma e la Terrasanta ed è identificata nell'antichità con il nome di cascina Garegnano. 

In origine la cascina Garegnano era unica, solamente nei secoli successivi la parte sul lato opposto dell’attuale Via Bisceglie venne disgiunta prendendo il nome di cascina Garegnanino o Garegnano Marcido. È con quest'ultimo nome che la località risulta citata nel 1659 sulla mappa del cartografo Clarici, conservata all'archivio storico di Milano. 

Mappa Clarici del 1659

Il nome Garegnano deriva dal nome proprio antico Garenius, Marcido indica che la cascina si trovava in mezzo a prati coltivati a marcita. 

Accanto alla cascina vi era anche un oratorio, ultima traccia di un antico ed importante monastero dedicato alla Madonna, Santa Maria di Garegnano. Vicino a Garegnano Marzo era segnalata anche Cassina Sgualginasco, di antica origine, già sede di una fornace dal XIV secolo, ma di questa cascina si sono perse le tracce da tempo.

La storia più recente

Nel 1770 la cascina Garegnano risulta di proprietà del Monastero Maggiore della Vittoria, al pari della vicina cascina Creta.

La cascina Garegnano nel catasto del 1772

Dopo l'invasione Napoleonica, con la legge 26 marzo 1798 fu istituito il dipartimento dell’Olona (legge 6 Germinale anno VI a) e fu creato in questa zona il comune di Sella Nuova, dal nome della cascina ancor oggi esistente tra via Forze Armate e via Viterbo. 

Il Comune Sella Nuova comprendeva le frazioni Barocca, Cassina Garegnano, Cassina Linterna, Cassinazza, Creta, Mazzo e Moretta e venne inserito nel distretto di Baggio.

In seguito alla successiva legge 26 settembre 1798 di ripartizione territoriale dei dipartimenti d’Olona, Alto Po, Serio e Mincio (legge 5 Vendemmiale anno VII), il Comune di Sella Nuova rimase nel dipartimento d’Olona, ma compresa nel distretto di Sedriano. Il Comune, in forza della legge 13 maggio 1801 di ripartizione territoriale della Repubblica Cisalpina (legge 23 Fiorile anno IX), venne poi incluso nel distretto I del dipartimento d’Olona, con capoluogo Milano.

Con l’attivazione del compartimento territoriale del Regno d’Italia (decreto 8 giugno 1805) il comune di Sella Nuova continuò a far parte del distretto I di Milano, inserito nel cantone V di Milano: classificato come comune di III classe, contava allora 135 abitanti.

Nel 1808 Sella Nuova fu annessa per la prima volta a Milano per volere del governo di Napoleone, recuperando l'autonomia nel 1816 con la costituzione del Regno Lombardo-Veneto da parte degli austriaci. Dopo l'unità d'Italia, nel censimento del 1861 il Comune di Sella Nuova contava 333 abitanti. Fu definitivamente soppresso venendo annesso a Baggio nel 1869. 

Nel 1923 anche il Comune di Baggio fu soppresso e annesso alla città di Milano.

Negli anni tra le due guerre mondiali, nei terreni della Cascina Garegnano fu creata una cava per l’estrazione di sabbia e ghiaia.

Un articolo pubblicato sul Corriere della Sera racconta che nel maggio del 1938 nella Cava Garegnano fu inaugurata, con ingresso da via Bisceglie 35, la sede della pesca sportiva del Dopolavoro Ferroviario di Milano. Venne tracciata una strada perimetrale, furono sistemate le sponde, piantati alberi ornamentali e da frutto. Lungo le rive vennero piantate erbe palustri per favorire la deposizione delle uova da parte dei pesci. Furono posizionate rastrelliere per le biciclette dei soci e costruiti chioschi per  la sosta ed il ricovero dei soci e dei loro familiari. Fu creata persino una biblioteca ed un impianto per il tiro al piattello. Ogni anno la cava veniva ripopolata con migliaia di avannotti di tinca e di carpa. Lungo le sponde della cava vennero anche collocati tre capanni di appostamento per la caccia invernale notturna alle anatre e altri uccelli di passo[1]

Nel censimento della popolazione del 1951, la Cascina di Garegnano contava 76 abitanti e quella di Garegnano Marcido 79 abitanti. In quegli anni, successivi alla fine della seconda guerra mondiale, nelle aree coltivate della Cascina Garegnano le attività di estrazione di sabbia e ghiaia si svilupparono ulteriormente. Il dopolavoro ferroviario fu chiuso.

Un trenino con vagoncini, rimasto in servizio sino alla fine degli anni sessanta,  trasportava la sabbia e la ghiaia cavate fino al deposito nei pressi dell’attuale via Zurigo, chiamato “i sabbioni”. Dal deposito di Via Zurigo i binari proseguivano poi verso il centro di Milano, fino ai sabbioni di Piazzale Perrucchetti.  Qui i “caretù” caricavano con il badile la sabbia e la ghiaia sui “marnoni” per trasportarla nei cantieri edìli. Il nome specifico di caretù derivava dall’impiego di particolari carri a due ruote di legno cerchiate in ferro e del diametro di circa due metri, col pianale a sponde alte e chiuse, che in gergo erano chiamati marnoni per la loro forma simile ad una madia. Per trainare i marnoni si usavano cavalli e muli piuttosto robusti, che riuscivano a muovere i pesanti carichi sino agli scavi per le fondamenta delle case, spesso con le ruote semi affondate nella fanghiglia. 

L’utilizzo dei marnoni era molto razionale; difficilmente questi carri si muovevano senza un carico da trasportare. Al viaggio d’andata con un carico di sabbia faceva seguito un ritorno con macerie ed altri materiali inerti, che venivano scaricati in cava. Le disposizioni del Demanio in termini di concessione estrattive prevedevano infatti che il “cavatore”, al termine delle escavazioni, dovesse restituire l a superficie a verde agricolo.

Un tempo questa scelta poteva avere anche un senso, in quanto gli scavi erano eseguiti a mano con grossi badili e raramente raggiungevano profondità superiori a tre-quattro metri dal piano di campagna. Inoltre, i materiali riversati erano costituiti per lo più da macerie di edifici bombardati[2] e dal terreno ottenuto dagli scavi delle fondamenta di nuove case. 

Col passare del tempo, la cava di Garegnano venne dotata di potenti argani e le draghe potevano così prelevare a notevole profondità, anche alcune decine di metri. Allo scarico di materiali inerti si aggiunse purtroppo quello di rifiuti di ogni genere. E’ stato calcolato che sino agli anni ottanta siano stati versati nella ex cava Garegnano 1 milione e 800.000 metri cubi di rifiuti pericolosi e non pericolosi, tra cui farmaceutici e industriali, che hanno provocato l’espandersi di arsenico, ammoniaca e manganese nella falda acquifera, con il conseguente avvelenamento delle acque, anche destinate al consumo urbano. 

L’esistenza della discarica è stata quindi oggetto dal 2010 di un lungo contenzioso giuridico sulla necessità di bonifica dell’area, che ha ostacolato lo sviluppo del progetto “Sei Milano”.  Solo nel 2018 la vicenda giudiziaria si è conclusa, rendendo possibile l’avvio dei lavori di costruzione del nuovo quartiere. 

Ciò che rimane degli edifici della Cascina Garegnano è stato per anni occupato dalla Sede della Società di trasporti Foppiani; la Cascina Garegnano Marcido, dopo aver ospitato per molti anni un auto demolitore, è stata recentemente riconvertita in residenza.

I fatti di cronaca del dopoguerra

Ci sono due gravi fatti di cronaca avvenuti alla Cava Garegnano, che è stato possibile rintracciare negli archivi dei quotidiani milanesi.

18 giugno 1954 : due bambini muoiono annegati nella cava. 

“Due bimbi sono morti ieri, annegati nelle gelide acque di una cava di sabbia: il primo era caduto dalla sponda friabile proprio nel punto di maggiore profondità; il secondo si era lanciato in suo aiuto, ed è stato a sua volta, paralizzato dal freddo, inghiottito dal liquido specchio che non ha ancora restituito i corpi delle piccole vittime. La cava di via Bisceglie, che ha una superficie di 300 pertiche, è la più grande tra quelle comprese nel territorio del Comune: un grande imbuto, circondato da terra arida. Sul fondo della cava lavora con un rombo continuo e sordo la macchina scavatrice, che fornisce sabbia ai cantieri. Per questo l’acqua diventa subito profonda e resta fredda anche in piena estate. Il pendio sotto la superficie corre ripido verso il fondo e cede continuamente sotto i piedi. Tuttavia molti nuotatori la frequentano, e anche ieri oltre un centinaio di persone erano raccolte sui bordi al momento della sciagura, verso le 15.30, cercando refrigerio alla prima calura. 

Sembra che il gruppo dei ragazzi, di cui facevano parte i due annegati, avesse intenzione di bagnarsi, ma più tardi. Il più piccolo del gruppo, Mario Scagliocco, di 7 anni, correva dietro agli altri sulla sponda, quando la terra ha ceduto sotto i suoi piedi. Mario è finito in acqua infilandosi nella cava proprio dove è più profonda, 10 metri. I ragazzi hanno guardato se il corpo del piccolo tornasse a galla, ma non l’hanno più visto. Allora si è tuffato spontaneamente uno dei più grandi, Gaetano Di Marco di 11 anni. Ma anche il Di Marco non è più riapparso in superficie. Gli altri ragazzi pur spaventati non si sono arresi. Non osando più tuffarsi, hanno formato la catena, i primi ancorati solidamente sulla sponda hanno dato la mano a quelli che si sono avanzati con i piedi in acqua, poi fino alle ginocchia, alla vita. Ma la mano rimasta libera dell’ultimo della catena ha battuto inutilmente l’acqua, in cerca disperata. Intanto è corsa la gente, si è provveduto a fermare la macchina, due giovanotti hanno voluto tuffarsi, invano. Erano arrivati intanto sul posto agenti della Volante e pompieri, che hanno iniziato a scandagliare la cava. Le ricerche sono continuate sino a sera, ma inutilmente.[3]"

Un secondo articolo contiene una breve biografia dei due bambini; un terzo articolo pubblicato il giorno seguente racconta il tragico epilogo della vicenda, con una foto della cava.

“Mario Scagliocco non aveva ancora otto anni. Viveva con il padre Antonio, cameriere in un bar in Galleria, e la mamma. Nato a Canosa di Puglia era venuto a Milano con i genitori ed un fratello di 15 anni, sistemandosi in un appartamentino in via Inganni 67, un grosso caseggiato che si affaccia, con altri, sulle campagne che si estendono attorno alla tragica cava.

Gaetanino De Marco aveva 11 anni ed era stato promosso alla quinta elementare. Figlio di un ortolano, aveva due fratelli già grandi ed un altro, Pinuccio, di soli 2 anni. Nino abitava a pian terreno della scala S, a breve distanza dal piccolo Mario.[4]

“I corpi di Mario Scagliocco e Gaetanino De Marco, i due bimbi periti nelle prime ore del pomeriggio di ieri nelle gelide acque di una cava di sabbia nei pressi di Lorenteggio, sono stati recuperati stamane. Le ricerche, sospese ieri sera al calare dell’oscurità, sono state riprese all'alba da una squadra di nove vigili del fuoco della caserma di via Sardegna. Dopo un’ora di scandagli, le lunghe pertiche munite di ramponi hanno incontrato sul fondo una massa compatta. Erano i corpi dei due sfortunati piccini. Le operazioni di recupero si sono svolte rapidamente, mentre dal gruppo dei parenti, che erano rimasti tutta la notte a vegliare lungo le rive, si levava un grido angosciato”[5].

L'ultimo articolo sul tragico episodio è la cronaca dei funerali dei due bambini.


26 luglio 1962: due bambini ed un adulto muoiono annegati nella cava

Otto anni dopo, la storia purtroppo si ripete: un altro tragico episodio ha luogo nella cava di Via Bisceglie.


“Una spaventosa tragedia è avvenuta nel primo pomeriggio di oggi in una cava nelle vicinanze di Baggio: due ragazzi sono annegati e la stessa sorte ha subito un uomo che si era generosamente tuffato per salvarli. Il fatto è avvenuto verso le 15 in uno specchio d’acqua in via Bisceglie, in cui nelle giornate calde si danno spesso convegno numerosi giovani per rinfrescarsi”[6].

“Il profilo di qualche raro gelso e i cespugli incolti di robinie sembrano garantire una parvenza di scampolo agreste in un settore che l’avanzata del cemento, con stabilimenti massicci e candide case popolari, già aggredisce da vicino. Le rive della cava, del resto, aspre di sassi e cosparse di rifiuti di ogni sorta, sono quanto di meno invitante si possa immaginare per delle velleità balneari: ma ciò non toglie che quelle rive divengano ogni anno, specie nei mesi di luglio e agosto, meta di bagnanti di ogni sorta. Per lo più si tratta di adolescenti, o di operai che profittano del tempo libero nel tardo pomeriggio, al termine del lavoro, per compiere qualche tuffo e avere l’impressione di rinfrescarsi. Da qualche anno vi giungono sempre più numerosi gli immigrati, quasi tutti provenienti da piccoli paesi del sud, che male si adattano, inizialmente, ad una esistenza incanalata tra asfalto e cemento, senza verde: quella pozza d’acqua e quel poco di verde stopposo servono loro di diversivo. Anche per l’operaio verniciatore Mario Pisacreta, nato 33 anni or sono a Santo Stefano del Sole, in provincia di Avellino, e attualmente domiciliato in via Ludovico il Moro 155, la squallida cornice campestre intorno alle acque limacciose della cava doveva sembrare, con un po’ di fantasia, una meta invitante”.

“Tenendo fra le mani una radiolina a transistor che trasmetteva musica leggera, il verniciatore camminava lento sotto il sole, lungo un sentiero che porta alla cava. C’era un silenzio relativo, rotto soltanto da qualche automobile lontana e dalle grida di richiamo che si lanciavano due bambini di otto-dieci anni, che erano arrivati su due biciclette. Si erano tolti in fretta gli indumenti ed erano coi piedi nell'acqua, sino al ginocchio.”

“il dramma ha avuto uno svolgimento fulmineo. I due ragazzi si sono avventurati troppo innanzi e non hanno più trovato fondo. ‘Aiuto, affogo!' ha urlato uno di essi. Mario Pisacreta ha lasciato la sua radiolina a transistor, si è tolto la giacca ed è accorso: il suo impulso generoso ha avuto il sopravvento su qualsiasi riflessione di prudenza. L’operaio si è subito trovato in difficoltà, ha raggiunto i bambini, ma poi è scomparso sott'acqua.”

“In quel mentre passavano nei pressi della cava due donne, abitanti entrambe nella Cascina Travaglia, in Via Lorenteggio 260. ‘Mi sono precipitata subito – ha detto una delle due donne – e le due creaturine erano ancora lì, così vicino alla riva che sembrava facilissimo salvarle. C’era anche l’uomo, più sotto, una massa scura. Abbiamo abbattuto un cartellone della pubblicità e l’abbiamo gettato, con la speranza che servisse da salvagente. Ma non c’era più niente da fare. Siamo soltanto riuscite a tirare a riva il più grandicello dei due ragazzi, l’altro e l’uomo erano scomparsi'.[7]

Le due donne tentarono invano una sommaria respirazione artificiale al bambino, mentre arrivava altra gente ed i pompieri, con tre sommozzatori. Gli altri due corpi vennero rapidamente individuati a sei metri di profondità e portati a riva. Si tentò anche con loro una respirazione artificiale, inutilmente.


Accanto alle biciclette ed ai pochi abiti non c’era alcun documento: chi erano i due bambini? Dove abitavano?  Gli agenti del Commissariato Porta Genova iniziarono a battere la zona alla ricerca di bambini scomparsi, mentre le salme venivano trasportate all'obitorio. In tutte le cascine e le case popolari del circondario la notizia si diffuse in un lampo. Solo alle 23 gli agenti ricevettero la segnalazione che due ragazzi pugliesi, Michele Musciolà, di 10 anni, e Rocco Maiorano, tredicenne, entrambi abitanti in Via Marchesi de Taddei, rispettivamente al numero 2 e 17, non erano ancora rientrati. Nella notte si ebbe avuta la tragica conferma con il riconoscimento della salma da parte dei genitori.

Il giorno successivo il Corriere pubblicò le biografie delle tre vittime e le loro fotografie.


“Michele Musciolà, figlio del vigile notturno Damiano, veniva da Trinitapoli, in provincia di Foggia, e avrebbe compiuto proprio oggi 10 anni. Ospite del collegio di Piancavallo, era stato promosso alla quarta elementare con il massimo dei voti. Il padre gli aveva fissato un appuntamento alle 18 vicino a casa. Con i fratelli avrebbe festeggiato il compleanno in anticipo, andando al cinema. Ma il padre lo ha atteso inutilmente per ore e ore, finché la notizia della sciagura lo ha raggiunto per strada e l’angoscioso sospetto è divenuto più tardi tragica certezza all’obitorio.”

“Pure dalla provincia di Foggia veniva il tredicenne Rocco Maiorano: i genitori avevano lasciato la nativa Ischitella, trasferendosi in Via Marchesi de Taddei con cinque figli maschi e due femmine. Il 23 novembre dell’anno scorso il padre, mentre si recava al lavoro in bicicletta, è stato travolto e ucciso da un’auto pirata all’angolo di Viale Murillo con piazzale Brescia. Venerdì è stata la volta di Rocco.”

“L’imbianchino trentatreenne Mario Pisacreta era immigrato da Santo Stefano del Sole, in provincia di Avellino, e viveva con tre sorelle nubili cui fungeva da capofamiglia in Via Lodovico il Moro 159. Egli era alla vigilia delle nozze ed avrebbe dovuto sposare alla fine dell’estate un’altra immigrata, la trentaduenne Donata Todisco da Bari. Mario era un altruista, come testimoniano diversi episodi ricordati dai congiunti e dagli amici: recatosi una volta ad un pranzo benefico natalizio, si imbatté sulla soglia in una vecchietta in lacrime perché non aveva il biglietto di invito. L’imbianchino le cedette il suo e saltò il pasto.”

“I funerali delle tre vittime avranno luogo martedì prossimo, dopo che il magistrato avrà concesso il nullaosta per l’inumazione.[8]

Lo stesso giorno il Corriere d’Informazione pubblicò una tragica fotografia del recupero di uno dei due ragazzi ed un articolo in cui affermava che le loro vite avrebbero potuto essere salvate se la cava fosse stata recintata o presidiata da un guardiano.
 

La tragica vicenda ritornò all'attenzione della stampa due anni dopo [9], quando le famiglie delle tre vittime chiamarono in causa la società proprietaria della cava, per chiederne la condanna per risarcimento dei danni.



L’immobiliare Garegnano, proprietaria della cava, chiamò a sua volta in causa la Cassa di Risparmio delle Province Lombarde, al cui Cral era stato dato in locazione lo specchio d’acqua come pesca sportiva.  Tre anni dopo, nel giugno del 1967, i giudici della dodicesima sezione civile del tribunale di Milano stabilirono che la responsabilità della sciagura doveva essere attribuita alla sola società Garegnano, proprietaria della cava, perché al Cral era stato concesso solo il diritto di pesca. Il tribunale stabilì inoltre la liquidazione dei seguenti danni patrimoniali: tre milioni di lire ai genitori di Michele Musciolà, due milioni e mezzo alla madre di Rocco Maiorano e tre milioni e seicentomila lire ai genitori di Mario Pisacreta [10].


Nel 1968 la Corte d’Appello confermò la responsabilità dell’Immobiliare Garegnano, poiché il luogo era sprovvisto di cartelli segnalatori di pericolo e di divieto, di una valida recinzione e di una qualsiasi sorveglianza [11]

Penso che nell'ambito del parco che circonderà il nuovo quartiere “Sei Milano”, e che occuperà proprio lo spazio in cui si trovava la cava Garegnano, sarebbe bello se venisse trovato il modo per poter ricordare i nomi dei quattro bambini scomparsi e dell’operaio che perse la vita per tentare di salvarne due.


___________________________

[1] Corriere della Sera, 14 luglio 1941

[2] idem, 14 giugno 1944

[3] idem, 19 giugno 1954

[4] idem, 19 giugno 1954

[5] idem, 20 giugno 1954 

[6] Corriere d’Informazione, 27 luglio 1962

[7] Corriere della Sera, 28 luglio 1962

[8] idem, 29 luglio 1962

[9] idem, 13 ottobre 1964

[10] idem, 2 giugno 1967

[11] Corriere della Sera, 30 ottobre 1968

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