Quella sera del luglio 1979, quando cercai di salvare l'Avvocato Ambrosoli

Fare volontariato in una pubblica assistenza ti porta talvolta ad essere coinvolto in fatti di cronaca importanti, il cui ricordo rimane vivo per sempre.

Quarant'anni fa, il caso volle che fossi in servizio proprio la sera dell'11 luglio 1979, quando un killer  aspettò l'avvocato Giorgio Ambrosoli sotto la sua casa di Milano e gli sparò. 

Giorgio Ambrosoli

Nel settembre 1974 l' Avvocato Ambrosoli era stato nominato dall'allora governatore della Banca d'Italia Guido Carli commissario liquidatore della Banca Privata Italiana, guidata sull'orlo del crack finanziario dal banchiere siciliano Michele Sindona, per esaminarne la situazione economica prodotta dall'intricato intreccio tra politica, alta finanza, massoneria e criminalità organizzata siciliana.

In questo ruolo, Ambrosoli assunse la direzione della banca e si trovò ad esaminare tutta la trama delle articolatissime operazioni che il finanziere siciliano aveva creato. Nel corso dell'analisi svolta dall'avvocato emersero le gravi irregolarità di cui la banca si era macchiata e le numerose falsità nelle scritture contabili, oltre alle rivelazioni dei tradimenti e delle connivenze di ufficiali pubblici con il mondo opaco della finanza di Sindona.

Durante questa opera di controllo, Ambrosoli cominciò ad essere oggetto di pressioni e di tentativi di corruzione, che miravano sostanzialmente a ottenere che egli avallasse documenti comprovanti la buona fede di Sindona. Se si fosse ottenuto ciò lo Stato Italiano, per mezzo della Banca d'Italia, avrebbe dovuto sanare gli ingenti scoperti dell'istituto di credito. Sindona, inoltre, avrebbe evitato ogni coinvolgimento penale e civile. Ambrosoli non cedette, pur sapendo di correre notevoli rischi.

Ambrosoli iniziò a ricevere una serie di telefonate intimidatorie anonime nelle quali il suo interlocutore, indicato da Ambrosoli con il termine convenzionale di "picciotto", per via del suo accento siciliano, gli intimava, via via sempre più in maniera esplicita, di ritrattare la sua testimonianza resa ai giudici statunitensi che indagavano sul crack del Banco Ambrosiano, fino a minacciarlo di morte.

La sera di mercoledì 11 luglio 1979, rincasando in macchina verso la mezzanotte dopo una serata trascorsa con amici, Ambrosoli fu avvicinato sotto il portone di casa, in via Morozzo della Rocca 1, da uno sconosciuto, che  gli esplose quattro colpi 357 Magnum al torace.  Alcuni testimoni dissero poi di aver visto fuggire una Fiat 127 rossa.

Quel giorno avevo appena compiuto ventun anni ed ero di turno in Croce Verde A.P.M., la più antica associazione volontaria di Milano, di cui ero entrato a far parte tre anni prima. La serata ci aveva visto impegnati nei soliti servizi, conclusisi con la solita attesa di nuove chiamate in Piazzale Baracca.

Ambulanza Romeo 19 della Croce Verde A.P.M.

Eravamo  appena rientrati in sede da Piazzale Baracca quando arrivò la chiamata dal 7733, il Centralino Ambulanze, gestito dai Vigili Urbani di Piazza Beccaria. Il Vigile, nel passare la chiamata, non parlò di sparatoria ma di un "incidente". Salimmo in tre sulla lettiga Romeo 19, Cattaruzza come autista, io come Capo Servizio e Maiocchi come Milite. Dalla sede della Verde, in via San Vincenzo,  il tragitto fu molto breve: percorremmo via Ariberto, proseguimmo in Gian Battista Vico, svoltammo a destra in Via degli Olivetani, poi a sinistra in Via San Vittore ed arrivammo all'angolo con via Morozzo della Rocca. Insieme a noi giungevano auto della Polizia e dei Carabinieri. Mentre ci fermavamo, i fari della Romeo 19 illuminarono il corpo di un uomo accasciato tra il lato guida di un' Alfetta scura e lo scalino del marciapiede, con i piedi ancora dentro l'abitacolo, vicino ai pedali.

L'Alfa Romeo di Giorgio Ambrosoli dopo il delitto

Ricordo perfettamente che vidi l'uomo ruotare lentamente la testa a destra e a sinistra. Questo movimento mi diede la speranza di poter far qualcosa. In pochi istanti caricammo lo sconosciuto sulla barella e partimmo verso la rianimazione del Policlinico, scortati da due volanti della Polizia, che bloccavano il traffico agli incroci per farci passare.

Le condizioni dell'uomo mi apparvero subito gravissime, aveva una vasta ferita al petto che sanguinava moltissimo. Insieme al milite Maiocchi feci tutto quanto ci avevano insegnato per cercare di tenerlo in vita. Arrivammo in pochi minuti al Pronto soccorso del Policlinico, ricordo la corsa nel corridoio sino alla porta della Rianimazione, che ci aspettava spalancata.  Rimanemmo lì nel corridoio, in trepidante attesa. Ma dopo un tempo che non so definire uscì uno dei medici, dicendoci che purtroppo non era stato possibile fare nulla per salvare l'uomo, perché le ferite erano troppo gravi. In quel momento non sapevamo ancora chi fosse la persona che avevamo trasportato, ma lo venimmo a sapere poco dopo, dai tanti poliziotti e giornalisti che affollarono il corridoio. 

Il giorno seguente il Corriere della Sera pubblicò la notizia, citando nell'articolo la Croce Verde A.P.M. ed i cognomi di noi tre componenti l'equipaggio. 


Corriere della Sera, 13 luglio 1979

Nei giorni successivi ricevetti a casa alcune telefonate di persone che si qualificavano come giornalisti e che volevano sapere se l'Avvocato Ambrosoli avesse detto qualcosa. Ovviamente nulla aveva potuto dire, stanti le sue gravissime condizioni durante il trasporto.

Dovevano trascorrere 5 anni prima che si facesse luce sul delitto e sui suoi colpevoli.

La Repubblica, 21 maggio 1984

Il killer di Ambrosoli era stato lo statunitense William Joseph Aricò, pagato da Sindona con 25.000 dollari in contanti ed un bonifico di altri 90.000 dollari su un conto bancario svizzero.

Nel 1983 un trafficante di droga che conosceva Aricò confessò che lo stesso gli aveva confidato di essere stato ingaggiato da Sindona per alcuni lavoretti in Italia. Fu il trafficante a vendergli le armi necessarie per il suo "lavoro":  un revolver calibro 44, due revolver 357 Magnum e due revolver Smith & Wesson 38. 
William J. Aricò

Dopo aver acquistato le armi, Aricò era partito dagli Stati Uniti dicendo che andava in Italia a svolgere il suo "lavoro" per conto di Sindona; nell'estate del 1979, di ritorno da uno dei viaggi, aveva raccontato al trafficante di aver ucciso a Milano l'Avvocato Ambrosoli.

Dal passaporto di Aricò risultarono numerosi viaggi in Italia tra il 1978 e il 1981. La sua agenda e altre carte sequestrategli contenevano varie altre tracce, che confermavano il suo soggiorno a Milano proprio nel luglio 1979. Aricò era sbarcato a Malpensa la mattina dell'8 luglio e aveva noleggiato all'Avis dell'aeroporto una Opel. La mattina dell'11 aveva restituito la Opel all'Avis della Stazione Centrale e alle 14.30 aveva noleggiato alla Maggiore una Fiat 127 rossa. L'utilitaria era stata restituita la mattina seguente, 12 luglio, verso le 8. Alle 11.45 Aricò era ripartito da Malpensa per New York. Le due auto erano state noleggiate con una carta di credito American Express intestata ad Aricò. 

Aricò morì in circostanze poco chiare il 19 febbraio 1984, quando precipitò mentre tentava di evadere da un carcere di Manhattan. Nel 1986 l'avvocato Sindona fu ritenuto colpevole come mandante dell'omicidio di Ambrosoli.

La Repubblica, 19 marzo 1986

Sono passati oltre 40 anni da quella sera del luglio 1979, ed il ricordo di quel soccorso è sempre vivo in me, così come il rispetto per il sacrificio dell'Avvocato Ambrosoli, "eroe borghese", che cercai in ogni modo di strappare alla morte.

Post più letti

Henry Charles William Egerton Piercy e la villa di Porto Pino

1976 - Cinque Bersaglieri uccisi a Teulada

Il Podio dell'Arengario di Milano, un gigante scomparso

1972 - Le Brigate Rosse a Cesano Boscone

La prima autoambulanza di Milano