1908: La Croce Verde e l’Assistenza Pubblica Milanese per il terremoto calabro-siculo

Il terremoto di Messina del 1908 o terremoto calabro-siculo è considerato uno degli eventi sismici più catastrofici del XX° secolo. La Croce Verde e l'Assistenza Pubblica Milanese inviarono i propri volontari ed i propri mezzi nelle zone terremotate, a Sant'Eufemia d'Aspromonte. Abbiamo ricostruito i dettagli di quella che fu una delle prime operazioni di protezione civile in Italia. 



Il sisma, di magnitudo 7.1, si verificò alle ore 5:20:27 del 28 dicembre 1908 e danneggiò gravemente le città di Messina e Reggio Calabria e le rispettive province. Si tratta della più grave catastrofe naturale in Europa per numero di vittime, a memoria d'uomo, e del disastro naturale di maggiori dimensioni che abbia colpito il territorio italiano in tempi storici. Le vittime stimate furono in totale tra 90.000 e 120.000.

Corriere della Sera, 30 dicembre 1908

Il Corriere della Sera, il giorno 30, uscì con il titolo: "ORA DI STRAZIO E DI MORTE. Due città d'Italia distrutte. I nostri fratelli uccisi a decine di migliaia a Reggio e Messina".

Drammatica la testimonianza del medico condotto di Sant'Eufemia d'Aspromonte Bruno Gioffrè (1865-1931), riportata nel suo “Quarant’anni in condotta” (pp. 89-93): «Come trascorsi la nefasta giornata io non so dirlo. Quanti feriti soccorsi, e quali? E di quante sciagure fui spettatore? Non ne ho chiara memoria. Solo ricordo che vestito sommariamente, con camicia da notte, senza cappello, digiuno, vagai fino alla sera, tornando inebetito al lume di una lucerna all’antro ospitale che trovai pieno di rifugiati avviliti e taciturni. […] E si taceva tutti, mentre per l’aria gelida ed umida giungevano urli e sospiri e la terra era tutto un fremito per le scosse che si susseguivano senza tregua. Mi si apprestò un giaciglio con qualche straccio a terra, e nella quasi oscurità passarono non so quante ore. Ma più alte grida ci scossero. Uscimmo dalla baracca e vedemmo non lungi colonne di fiamme che rompevano la notte. Più case ardevano, sotto una delle quali era seppellita tutta una famiglia e sotto un’altra una vecchia signora inferma che avevo curato in quei giorni. Terrore e strazio! Così passò la spaventevole notte. E venne l’alba, funebre anch’essa, ed io ripresi il mio triste lavoro. […] Il più esasperato sconforto invase gli animi. Alcuni dei migliori cittadini si spinsero fino a Palmi, capoluogo del circondario, e informarono le poche autorità superstiti della immensa sciagura del paese […]. Ma nulla giunse nei quattro giorni finali dell’anno sciagurato: non un pane, non un farmaco. Solo il primo gennaio del 1909, Capodanno tristissimo, si vide la prima faccia umana, e fu il Vescovo della Diocesi, Monsignor Morabito, con un carro di viveri e con parole di soave conforto».(1)

In tutta Italia si formarono comitati di soccorso e per la raccolta di denaro, viveri e indumenti. Da molte province, partirono squadre di volontari composte da medici, ingegneri, tecnici, operai, sacerdoti e insegnanti per portare, nonostante le difficoltà di trasferimento esistenti, il loro fattivo sostegno alle zone terremotate.

Anche a Milano, misurata l’immensità del tragico dolore, si creano comitati per l’aiuto fraterno; all’albo sociale della Croce Verde e dell’A.P.M. i militi si sottoscrivono, pronti a partire. La sera del 29 parte in treno la prima squadra del Comitato milanese coll’assessore dott. Sironi, 3 medici e 30 uomini, fra i quali 6 militi della Croce Verde.

La sera del 30 partono in treno altri 40 uomini (pompieri, vigili, militi dell’Assistenza Pubblica Milanese e della Croce Verde con il Comandante) diretti a Palmi, Bagnara, Villa San Giovanni.

Poiché le notizie si succedono sempre più dolorose, la sera del 31 parte in treno una squadra tecnica con l’on. Nava e 120 uomini, tra i quali ingegneri, capimastri, medici, chirurghi, pompieri, muratori, militi. Della Croce Verde partono 12 militi e 6 studenti.

Di questa spedizione di soccorso della Croce Verde e dell’Assistenza Pubblica Milanese abbiamo ritrovato, presso la Biblioteca delle Civiche Raccolte Storiche di Palazzo Moriggia a Milano, una dettagliata relazione, che qui vi riportiamo, accompagnata da alcune immagini e cartoline dell’epoca, reperite in rete.

Bersaglieri e volontari scavano tra le macerie

“A Palmi ci incontriamo con la squadra partita il 30 e ci suddividiamo viveri, tende, coperte, medicinali, uomini. Il Dott. Pollini, chirurgo della Croce Verde, i dottori Bozzotti e Perla, alcuni studenti medici, 6 militi della croce Verde, 6 dell’Assistenza Pubblica Milanese, vigili e pompieri, muratori, infermieri, erano stati assegnati pei lavori di sgombro ed assistenza pei paesi danneggiati sull’Aspromonte. Il paese più importante, Sant’Eufemia di Aspromonte, già abitato da 7mila persone, era scomparso, con 2mila feriti e 500 morti.

Domenica del Corriere, 24-31 gennaio 1909

Oltre alle numerose casse di medicazione, medicinali, tende e coperte, la squadra aveva a sua disposizione l’Automobile Ospedale Pompeo Confalonieri, che la Croce Verde aveva generosamente inviato sui luoghi del disastro."

L'Automobile Ospedale della Croce Verde a Sant'Eufemia
(archivio Domenico Forgione)

"Giunti a 700 metri sul monte sacro al dolore ed alla storia (NdR: Sacro alla storia perché qui nel 1862 era stato ferito in battaglia Giuseppe Garibaldi), ci accampammo preso il paese ridotto in macerie e rottami. La popolazione era addensata in cortili, o in antichi androni: malati, feriti, bambini e adulti, maschi e femmine, ammucchiate colle poche masserizie salvate dall’incendio. Fu prima cura pei medici di sfollar da quegli ambienti i feriti e i malati e istituire un posto di soccorso ed un posto di ricovero ospitaliero, di salvare i pochi abitanti muti e costernati dalle case pericolanti, di metterli in grado di vivere e nutrirsi."

I morti nelle strade

"Dopo che il Dott. Pollini, direttore sanitario, coadiuvato dai suoi amici medici e infermieri, poté prendere tutta la disposizione nel paese e nel prato che doveva servire da ambulatorio e da ospedale, i militi trasportarono su barelle i feriti più gravi, conducendo a braccia quelli che potevano recarsi a piedi; gli studenti aiutarono a preparare le medicazioni, a medicare i feriti, a portarli nell’ospedale o a casa; un medico medicava nel paese, gli altri all’ambulatorio e ospedale. Tutti gareggiavano nel pietoso lavoro! 

Corriere della Sera, 5 gennaio 1909

Centro dell’ambulatorio era l’automobile ospedale, che con i suoi fianchi aperti e colle larghe tende, riparava i malati più gravi, ricoverava le donne ferite per le medicazioni; e sembrava dimostrare che la fraternità di Milano era venuta grande e premurosa ad allargare le sue braccia in sollievo degli sventurati; ciò ad incoraggiamento nostro in quei giorni di faticoso e indefesso lavoro!"

Affamati che aspettano il pane

"Per 12 giorni vennero quotidianamente da 100 a 120 malati e feriti; con 150 operazioni chirurgiche di una certa importanza e tutte di urgenza (amputazioni, ascessi, fratture), 150 medicazioni a domicilio. In totale, più di 1000 medicazioni, ricoverando 35-40 malati più gravi sotto 3 padiglioni della Croce Rossa.

Dei molti operati e medicati, all’ospedale si ebbe un solo morto, un povero vecchio di 80 anni che era stato tre giorni col suo cagnolino morto sotto la testa, in attesa di essere liberato dalle macerie e portato al nostro ospedale. Non si ebbero casi di tetano; invece alcuni casi di polmonite pel freddo delle notti."

Sopravvissuti nelle tende

"Un altro lavoro faticoso ma utile che venne compiuto con diligente fervore dai nostri militi, furono le disinfezioni colla ottima pompa Brioschi e soluzioni concentrate di Lysoform. Mentre i soldati scavavano dalle macerie i cadaveri, i nostri militi (operai e studenti) con una pompa sulle spalle gettavano abbondante liquido sulla parte del cadavere che man mano appariva, con immenso sollievo dei bravi zappatori, che per le zanzare e le esalazioni delle carogne di altri animali scavati, affrontavano eroicamente il pericolo della morte. Coi cadaveri di una famiglia, ancora tre giorni dopo, fu trovato un maiale, che venne tosto ucciso dall’ufficiale comandante i zappatori scavatori! Pericoli di morte erano ovunque. Pel paese, in cerca dei malati o feriti, o trasportando i cadaveri, i nostri bravi militi camminavano all’altezza del primo piano, essendo le vie ostruite da travi, rottami, chiodi, compiendo uno sforzo di equilibrio nel portare pesi.

Alla fontana di Sant'Eufemia nell'immensa distruzione
foto tratta da “Messina e Reggio
 prima e dopo il terremoto del 1908” (Firenze, 1909).

Il lavoro diurno cominciava colla squilla mattutina dei bersaglieri e continuava sino al tardo tramonto. La sola ora di riposo era al mezzogiorno, nel nostro campo, poco lungi dal prato ambulatorio. Attorno alle nostre tende ci rifocillavamo col parco cibo, ci narravamo quanto si era fatto e visto, si chiedevano e si davano ordini pel lavoro a farsi, né mancava mai la parola di coraggio e di speranza in quei giorni che furono di lavoro, di abnegazione e di sacrifizio!

L’on. Nava veniva con noi ogni 2 o 3 giorni a dividere pericoli, dolori e disagi; ogni giorno giungevano personaggi militari o civili ad ammirare l’opera nostra, a prendere note, fotografie. Fonte di meraviglia fu sempre l’automobile Confalonieri, su cui sventolava il segnacolo della Croce Verde. Il Colonnello Medico Prof. Postemsky della Croce Rossa, i generali Marazzi e Tarditi lo visitarono e lo apprezzarono meravigliandosi dell’immane lavoro sanitario. La Croce Di Malta col conte Morlacchi e col suo chirurgo dott. Della Porta, primario di Milano, apprezzarono il lavoro fatto dalla squadra sanitaria, e il Della Porta ebbe parole di elogio per il Dott. Pollini e suoi aiuti.”

Il terremoto del 28 dicembre 1908, abbattendosi su abitazioni già colpite dagli eventi sismici del 1894, 1905 e 1907, fu per Sant’Eufemia una tragedia immane. Il numero delle vittime non fu mai accertato con esattezza: per la giunta comunale guidata dal sindaco Pietro Pentimalli furono circa 700, mentre secondo altre fonti potrebbero essere state molte di più, un migliaio o anche oltre. L’elenco stilato dall’arciprete Luigi Bagnato, a sette mesi dall’evento catastrofico, riporta i nominativi di 530 vittime. I feriti furono più di duemila, il patrimonio edilizio perduto pari all’85%. (2)

Il "Rione Città di Milano", realizzato dal Comitato milanese per i danneggiati dal terremoto, fu inaugurato a metà marzo del 1909, dopo due mesi e mezzo di duro lavoro da parte della squadra di soccorso, composta da medici, infermieri, ingegneri, muratori e semplici volontari impegnati anche nella distribuzione di viveri, vestiario, medicine e coperte.(3)

Fino a quel momento, la popolazione si era dovuta arrangiare nelle poche case rimaste in piedi o nelle baracche costruite dopo le scosse sismiche del 1894 e 1905, nelle agghiaccianti condizioni igieniche descritte dall'ingegner Pellegrini(3):

"Lo spettacolo più misero, più pietoso, e insieme più ributtante , era dato dalla baracca scuola. Dopo il terremoto del 1905, il Municipio di Sant'Eufemia d'Aspromonte aveva fatto costruire le scuole in legno, vasto baraccone con 8 aule e un ampio andito. In questa baracca-scuola gran numero di superstiti aveva cercato rifugio e ricovero dopo la grande rovina del 28 dicembre. Si entri in un'aula: è scena che strazia il cuore: sono settanta o ottanta individui lì dentro, stipati e riuniti in una promiscuità spaventosa; vecchi e giovani, uomini e donne, ricchi e poveri, ammalati e feriti insieme coi sani; e sono lì, sdraiati, accovacciati, coperti alla meglio dalle robe salvate il primo momento e da quelle ricevute in carità; e lì mangiano, lì vivono, lì dormono. Ma non è tutto, purtroppo. Pensate. Per l'igiene, il pavimento della scuola era stato costruito alto dal suolo quasi un metro. Ebbene, sotto, in quel piccolo spazio quasi buio, chini come le bestie, perché non ci si può entrare e stare che carponi, altri superstiti vi stanno stipati e si contendono quel poco spazio e dormono sul nudo terreno. Poi, un puzzo d'aria ammorbata, un lezzo da mettere pietà pensando che viene da uomini. E' spaventoso: guai se scoppiasse un'epidemia; nessuno di tanti infelici potrebbe sopravvivere".(4)

Il comitato di soccorso milanese realizzò 54 baracche, che furono assegnate a 179 famiglie e assicurarono un tetto a circa 750 eufemiesi. Furono inoltre edificati l’acquedotto, tre fontane pubbliche, un lavatoio coperto, un ospedaletto da dodici posti letto (ribattezzato "Ospedale Milano") e una piccola chiesa (6 metri per 16) in legno, dedicata al patrono meneghino Sant'Ambrogio, che fu benedetta dal Vescovo di Mileto insieme alla bandiera della Città di Milano (croce rossa in campo bianco), adottata da Sant'Eufemia in segno di riconoscenza. 

Corriere della Sera, 13 marzo 1909

La nuova area edificata comprendeva diverse vie dedicate a chi aveva contribuito alla ricostruzione del paese. Tra i  nomi di alcune vie che si è riusciti a reperire, quello della Croce Verde, associazione di volontariato che diede un notevole contributo all'opera di soccorso dei terremotati. Tuttavia, per la maggior parte di esse, è praticamente impossibile individuarne oggi con precisione la posizione all'interno del rione.(5)

Nel 1910 le bandiere della Croce Verde e dell'Assistenza Pubblica Milanese vennero decorate con 1 medaglia d’argento e 2 medaglie di bronzo per il terremoto calabro-siculo, decorazione istituita dal Governo italiano nel 1909 allo scopo di premiare gli enti e le persone che, in modo eminente, avevano acquistato titolo di pubblica benemerenza prodigando personalmente assistenza, cure, od aiuto ai superstiti.

(1) https://www.messagginellabottiglia.it/il-terremoto-del-28-dicembre-1908-nella-testimonianza-del-medico-bruno-gioffre/
(2) https://www.messagginellabottiglia.it/il-terremoto-del-1908-nel-racconto-del-sacerdote-luigi-bagnato/
(3) Domenico Forgione,  "Il Cavallo di Chiuminatto. Strade e storie di Sant'Eufemia d'Aspromonte" Nuove Edizioni Barbaro, 2013, pagg. 108/110
(4) Antonio Pellegrini, La Rinascita di un Paese Devastato dal Terremoto, in L'opera della Croce rossa Italiana e del Gruppo Indipendente Fiorentino, terremoto calabro-siculo del 28 dicembre 1908, Nuove edizioni Barbaro, 2008, pag.226
(5) Domenico Forgione, opera citata.

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